Ci sono espressioni che molto spesso, ognuno di noi, usa come manifestazioni di stupore o quali intercalari interlocutori non sapendo cosa dire prim’ancora del cosa pensare. C’è il ricorso all’assurdo quando non riusciamo a reggere quel confronto tra la domanda dell'uomo e l'irragionevole silenzio del mondo che ci circonda.
Oppure c’è il paradosso laddove, nonostante le evidenze contrarie, vogliamo cercare una verità. O, ancora, l’ossimoro; cioè quel tentativo semantico, ma non solo, di voler associare termini dal significato contrario, ma che si raccordano in una unica interpretazione ritenuta vera. Ebbene, mi perdonerete, nella incessante e virale gara a chi la spara più grossa sulla sanità calabrese vi è tutto questo, Vi è l’assurdo di una realtà che ha del grottesco se non del surreale, vi sono molti paradossi che pongono l’efficienza perduta - e vorrei sapere a quale epoca ciò risale o alla fine di quale illuminata amministrazione regionale - e vi è l’ossimoro: ovvero il voler negare titolo a commissari non calabresi e di aprire però a nuovi sacerdoti, rigorosamente non calabresi. Insomma, un concentrato di idee confuse che trovano la loro celebrazione nel rito - emulato dall’esempio di un governo che va a tentoni, senza riconoscere né costituzione né sovranità parlamentare - delle ordinanze. Non mi soffermerò sulla legittimità di tali atti perché ad un normalissimo lettore dotato di minimi argomenti di giurisprudenza non dovrebbe sfuggire la risposta. Vorrei sottolineare come - al di là della decretazione e del circo delle ordinanze estemporanee, la cui ragione sottesa da chi le emette è quella di tutelare la propria eventuale incolumità dal rischio da responsabilità potenziali e non la reale aderenza alle necessità o alle condizioni della comunità amministrata - la ospedalizzazione da campo, ovvero i posti letto in tenda - perché una vera ospedalizzazione da campo è una struttura complessa con capacità diagnostiche e chirurgiche - si presenta come il limite della irragionevolezza di una politica che si arrende. Non credo manchino strutture ancora utilizzabili, dagli ospedali chiusi, alle cliniche private, ma in convenzione, i cui posti letto e il relativo personale dovrebbero fare parte di una situazione complessiva di disponibilità che un dirigente della sanità dovrebbe avere sul proprio tavolo ogni giorno. Io credo che la scelta di rendere campale la sanità rappresenti il modo migliore per ammettere una sconfitta della quale per epilogo, se non per apoteosi, i vari commissari - sia quelli “voluti” dalla regione che coloro che sono stati “imposti” dal governo centrale - rappresentano solo il punto di arrivo di una prassi dissennata di una sanità vista da tempo in termini di clientele politiche e di sperpero di risorse o affidatasi, per uno strano senso di filantropico amore verso il prossimo, sulla privatizzazione delle prestazioni in barba ad ogni Lea e Lep possibili. Basterebbe ricordarsi di chi, come e in che modo ha gestito nel passato le allora Asl. Contenitori, queste, di consenso e ammortizzatori sociali per le figure professionali più disparate e inutili, ma con tessera di partito. Ed ecco, oggi, che nel non voler riconoscere le colpe dei padri “politici” che ricadono sui figli lamentosi, nel tentativo di mettere una toppa all’ennesima falla, e magari vendere immagini di pronta efficienza, sembra che le tende possano dare sicurezza. Invece, al contrario, esse esprimono una tristezza, un simbolo di un fallimento, una mortificante pezza alla responsabilità anche di coloro che oggi - non me ne voglia il prossimo futuro illuminato commissario - ne augurano l’arrivo credendo che, prima o poi, passata la bufera tutto tornerà alla solita amichevole gestione.