Ci sono argomenti che non si archiviano mai e per vari motivi. Perché rappresentano storie di vita, sentimenti, ricordi o eventi che hanno segnato momenti importanti per l’esistenza di un individuo o per una istituzione politica.
Ci sono anche argomenti che ricorrono sempre perché parte di un animo che non vorrebbe rassegnarsi a guardare evidenze che condizionano la vita di ogni giorno e ne definiscono i termini stessi dell’esistenza, dove la scelta si divide perfettamente tra il fare lo struzzo o alzare la testa. Di certo la prima ipotesi è quella più comoda, permette di non guardare la realtà per ciò che è e magari evitare di ricorrere al barile per pesci, troppo grande! La seconda richiede più coraggio e decisione, fors’anche un pò di follia per abbandonare la strada del senso comune e dire le cose come stanno. Una scelta necessaria, l’ultima, che però richiede onestà intellettuale; ovvero la volontà di mettere in discussione ogni rendita trascorsa e anche qualche privilegio.
Non ci sono dubbi che la Calabria viva con un suo senso del dramma che l’accompagna nella sua storia. Un lento lamento che in ogni stagione trova il suo spazio e i suoi cantori che del catastrofismo politico ed antropologico ne hanno fatto una bandiera politica o, per altri versi, un buon alibi. In questa ricerca di essere tutto e nulla nello stesso tempo, si sacrifica ogni cosa in nome di riti che hanno fatto della legalità un valore che si deprezza proprio laddove lo si vorrebbe affermare.
In una regione che vive di quotidiane emergenze, la legalità resta una delle più importanti e non solo per la lotta al crimine, ma per l’uso che di tale valore viene fatto, affidato a riti e pubbliche omelie che spesso non vanno oltre il reprimere senza riconoscere errori o senza recuperare vite perse in processi dagli esiti spesso già noti ad un attento lettore o ad un normale giurisperito. La legalità non ha bisogno di simboli, essa non può infrangersi in teoremi da giornali in vendita, ha bisogno di certezze, di affermare sé stessa combattendo il crimine senza criminalizzare.
Una legalità che sia il prodotto di servitori giusti che colpiscano il male senza stenderne la coltre, senza cerare ombre, promuovere sospetti o processare preventivamente attraverso tribune senza anima. Alfa e Omega sono l’inizio e la fine. Ma non è l’Omega che si rincorre, ma la possibilità di giungere ad essa per ricominciare una nuova vita.