Devo dire che a volte anche chi si ritiene realista e si ancora al più puro pragmatismo a volte si emoziona. Non fosse altro per una sorta di sentimento che nasce da un ricordo, un’immagine, una frase o una sensibilità che emerge da un profondo dell’anima che sino a ieri si è dimenticata di bussare alle porte della nostra vita.
Non ci vuole molto, in fondo. Anzi, le possibilità che ci offre un’esistenza che scorre sui palmi delle nostre mani, e dove la compulsiva digitazione dei tasti di un cellulare perennemente connesso con il resto del mondo ormai fa parte dei nostri riflessi incondizionati, sono innumerevoli. E non si tratta solo di guardarsi come protagonisti remoti della realtà che affrontiamo come leoni del mattino in una foto o in un video, selfato o meno poco importa. Ma di una necessità di sentire che esistiamo o di una ragionevole, a volte odiosa, necessità di uscire da un guscio o da una marginalità che ci affranca da frustrazioni o da vite vissute nell’anonimato.
Ecco, allora, che guardi un video o delle foto, ascolti ragazzi ancora ingenui che descrivono in video online autoprodotti luoghi del passato lasciati a se stessi dai cosiddetti adulti, dimentichi di una storia rispolverata solo se occasionalmente vi è l’interesse di sensibilità estemporanee, ma certo non parte di una coscienza comune, di una consapevolezza dell’essere. Eppure non manchiamo mai di affermare, quando necessario, un amore per una terra che di amore ne ha visto poco e non solo per colpa degli altri - basta con un vittimismo giustificato ma non più giustificabile come alibi - ma per distrazione (vogliamo dire così?) da parte di noi stessi.
Forse avevamo un cuore che l’amava tanto, ma era un cuore troppo semplice e fatto di poche cose, che nella miseria del poco tutto sembrava più armonico, ma non adatto al voler vivere alla grande. La stessa povertà dei nonni che oggi dimentichiamo, se non esorcizziamo come se dovessimo mondarci di chissà quale vergogna, ci porta a passare sopra ogni retaggio pensando di essere fautori di un riscatto che si guarda altrove. Ci innamoriamo di noi stessi e di coloro che propongono ricette, senza ingredienti, per un Sud che langue e che nell’ultima rappresentazione, dopo le altre già digerite in questi ultimi anni e mesi, vede aprire le porte ad una Italexit che scende in Calabria a caccia di consensi.
L’ennesima recita, ormai stantìa, che sembra voler conquistare anime poco inclini al significato di amor proprio, che credono di poter fare a meno di un’Europa dalla quale piogge di aiuti e finanziamenti sono giunti negli anni grazie ai quali tra corsi, formazioni varie e progetti, sono poi evaporati subito dopo nelle nebbie del burocratese senza lasciare traccia di sé. Diremmo, nulla di nuovo tipico vista l’incapacità di programmazione e di individuazione di obiettivi concreti.
Potremmo anche non essere più europeisti e fare a meno dell’Europa, e chi scrive di certo non è stato tenero nei confronti di un’Europa che non può essere proposta come idea tecnocratica, ma politica e sociale. Tuttavia, ancora una volta abbandoniamo noi stessi e la nostra realtà per seguire le lusinghe dell’ennesimo Profeta straniero, così come abbiamo affidato il nostro passato e affideremo il nostro presente ad altre figure che lo hanno raccontato, lo raccontano e lo racconteranno come vorranno: come una merce da vendere convinti che, in fondo, ai calabresi andava, va e andrà bene qualunque narrativa possibile.
Probabilmente dopo Rino Gaetano abbiamo archiviato anche l’intramontabile Mino, e lo ha fatto una terra amata da lui ma senza cuore perché senza ricordi. Ma l’emozione, nonostante tutto, può ri-nascere dal ricordare chi siamo … forse chi sono e chiedo scusa per la presunzione. Retorica se non ridondante affermazione quest’ultima, ma che sembra non avere mai abbastanza presa. Ma d’altra parte, che volete, parafrasando Ennio Flaiano che si riferiva all’Italia, anche in Calabria la situazione politica, economica e sociale è grave ma, a quanto pare, non è seria!