Forse non si dovrebbe scrivere di Regione visto che il momento che viviamo, trincerati nel nostro io saccente e senza limiti di umile decoro, sembra essere comune ad una nazione intera. Forse non si dovrebbe proprio scrivere, considerato che la noia delle ripetizioni storiche non sembra essere stata sconfitta da un pur minimo sussulto di cambiamento, tranne quel vento apparente che poi finirà per soffiare nella stessa direzione del passato.
Tuttavia tra un j’accuse rivolto a quello o a quell’altro politico o candidato/a, tutto sembra scorrere come sempre, come previsto, forse, e sarebbe triste ammetterlo, come voluto. Non ci sono giorni, ore, minuti e secondi che - pur presi dalla pausa estiva che dovrebbe rigenerare gli animi provati da un inverno e una primavera passati a piangere sui soliti mali più uno, quello pandemico – non si torni sulle polemiche di ogni tipo, sulle rivendicazioni di ogni colore e contenuto, trasformando ciò che resta di una dialettica politica in una sorta di regolamento di conti personale, tra nomi, partiti e correnti.
Tra eccellenze vere (ci sono?), presunte o contestate o esclusi che non ci stanno a rimanere fuori da un gioco a questo punto redditizio, non ci sarebbe altra spiegazione, rappresentato dal potere, o continuare, ad essere parte dell’élite della politica dei prossimi mesi e anni.
Tra assicurazioni di candidature proclamate e discese di nuovi conquistatori in terra di Calabria, che indossano vecchie e spesso ormai vecchie uniformi ricucite addosso a nuove narrazioni di riscatti da paladini della reconquista, non vi è nulla di sorprendente nel prevedere se non quanto il presente ci offra già anticipando, distopicamente, ciò che vivremo.
Certo non sarà di sicuro un nuovo Orwell calabrese, semmai rintracciabile nelle pieghe di una letteratura che celebra se stessa, ma neanche italiano, che descriverà il nostro quotidiano. Lo facciamo ogni giorno noi stessi così come ci anticipiamo un futuro presente su luoghi comuni tanto consolidati da far arrossire una buona e smaliziata cartomante. Ma la realtà, che non supera l’immaginazione perché la prima è un tutt’uno con la seconda, ci offre almeno una consolazione: quella di considerarci, questa volta, un piccolo laboratorio nel quale si spiegano le dinamiche irrazionali di una nazione intera e alla deriva. Forse, per una volta, la Calabria sembra essere parte dell’Italia.