Chissà quante volte ci siamo fermati a guardare al nostro passato, alla storia di un quotidiano vissuto di cui spesso abbiamo ignorato i significati delle piccole esperienze che la vita ci offriva.
Chissà quante volte ci siamo ricordati - dimentichi prima per distrazione o per esorcizzare un senso di marginalità, di piccole cose che i nostri nonni senza grandi parole e senza sostituti mediatici ci affidavano - di momenti nei quali ogni cosa aveva una sua ragione di essere, un suo significato intrinseco fatto di gesti, simboli o piccole espressioni. La Calabria cerca nell’altrove tecnologico e mediatico di oggi un riscatto per una diversità che è stata vissuta come un distacco dai processi evolutivi di una società ipertrofica nei suoi metavalori. Ovvero, incapace per rapidità dei processi stessi, di soffermarsi sull’essenza di un io che non è solo risultato del successo, ma che dovrebbe essere rappresentazione di una cultura, di un comune modo di interpretare una esistenza.
Credere che la velocità possa essere ancora oggi un valore per raggiungere traguardi di crescita in breve tempo non gioca a favore di società come quelle mediterranee. Società dove il lento scorrere del vissuto non è un disvalore, ma una difesa del proprio essere, la migliore esemplificazione del come guardarsi dentro con sincerità, magari con una nuova umiltà riscattata dall’offesa dell’essere stata bandita dalla nostra vita offerta alle lusinghe di un consumismo di maniera. Un consumismo sostenuto da forme assistenziali eterodirette responsabile della peggiore trappola alla crescita delle nostre comunità: l’egoismo da sussistenza.
E’ vero, come ricordavo in passato, ci sono storie che segnano delle epoche, che affascinano per le loro avventure o per le descrizioni di luoghi epici, per paesaggi che avvolgono i protagonisti rendendoli parte di una fantastica trasfigurazione dell’immaginario onirico che si svolge nella complessità del racconto. Ma ci sono anche momenti nei quali ognuno di noi passa sopra ad un luogo, o ad un oggetto che ci chiede di abbandonare per un momento il fardello del quotidiano per volgere lo sguardo indietro di tanti anni a volte, alla ricerca di una spiegazione, di una ragione che dia senso o contenuto alla vita. Ed è in questi momenti che il tempo si ferma, ed è in questi attimi che un ricordo, una persona, un oggetto o una storia può fare la differenza per un ritorno al futuro senza angosce e senza ansie da successi mancati.
La Calabria, il suo entroterra a volte selvaggio o impietoso nel suo non concedere nulla nasconde un passato fatto di eccellenze che chiedono solo di essere reinterpretate senza snaturarne il significato. In economia, nei percorsi culturali o nelle stesse relazioni umane, forse dovremmo affrancarci proprio da quell’egoismo da sopravvivenza che è, e rimane, non solo una trappola psicologica di comodo, ma quell’arma spuntata ma ancora capace di far male, attraverso la quale si distrugge l’orgoglio semplice di un passato per inseguire una modernità virtuale e senza ricordo. Praticamente, una falsa modernità che affiderebbe al vuoto l’immagine olografica di un possibile Sud che rischia di non essere più tale, nelle culture, nei colori, nelle persone.