Le giovani generazioni si presentano spesso come delle energie potenziali che cercano una collocazione in un mondo di adulti che non è compreso. Un mondo, quello degli “adulti”, complesso, a volte poco semplificato nei processi ideologici e nelle dimostrazioni concrete sull’etica che si vuole affermare quasi fosse universale ed eterna, non soggetta a mutazioni dovute al passare del tempo e alle trasformazioni politiche che una società dovrebbe subire in barba a qualunque conservatorismo.
Discutere su questo significa, in un confronto aperto, mettere in discussione un ordine consolidato e voluto dalle classi dominanti e dagli “adulti” che contano contro ogni possibilità di affermazione di una necessità riformatrice. E il conservatorismo delle idee e delle élites politiche non è un fenomeno di destra né il nemico rappresentato della sinistra. E’ la difesa dell’immutevolezza dell’essere, una comoda difesa di una rendita, sempre meno condivisa, di potere e di posizione che non deve essere messa in discussione, neanche di fronte all’incapacità di rispondere a sentimenti diffusi di trasparenza, lealtà, onestà, giustizia, servizio.
Quanto si osserva in Calabria oggi non è molto distante dal passato di qualche decennio fa. Forse noi giovani di ieri ci siamo un po’ imbiancati ma ieri, in un passato non molto lontano, non era facile convivere con accesissime faide, o prendere il pullman per raggiungere il liceo attraversando la strada a lato di un lenzuolo bianco che copriva l’ennesima vittima di una resa dei conti continua, quotidiana, nei momenti di maggior affermazione della ‘ndrangheta della piana di Gioia Tauro, tra Taurianova e Cittanova.
Eppure la discussione era aperta, i Consigli d’Istituto e le Assemblee funzionavano come luogo di confronto e di incontro tra studenti e insegnanti legando il destino di ognuno di noi alla volontà di continuare nel nostro quotidiano, cercando di contribuire a far crescere, e crescere così a nostra volta, una nuova cultura di legalità e di successo per la nostra terra.
Un modo di raccoglierci forse isolandoci, con poche possibilità di incuriosire i media, consapevoli, però, che la nostra rinuncia, voluta, a qualunque strumentalizzazione politica, o il non aver ceduto a accomodanti lusinghe politiche per incarichi possibili non ci avrebbe pagato nel breve periodo, ma ci avrebbe dato la possibilità di restare indipendenti nell’animo e nelle idee una volta diventati anche noi “adulti”.
Credo che ci siano poche differenze tra i ragazzi di un liceo di ieri e quelli di oggi. Salvo scoprire, per i primi, una terra. in cui violenza, politica e povertà sono aspetti che appartengono al vissuto di ognuno di noi e non solo delle vittime, illustri o meno illustri, senza disallineamenti tra pesi e misure, accomunate dall’essere il triste epilogo di una violenza ingiustificabile. Tuttavia, nonostante ciò, resta una differenza sostanziale che oggi limita il successo mediatico e la possibilità di sfruttarne le opportunità per i giovani di Locri: il rischio di diventare strumento inconsapevole, spero, di una generazione politica “adulta”, sempre più ipertrofica.
Una generazione di “adulti” che non vuole in realtà, e che per questo sopravvive al cambiamento impedendolo, le trasformazioni degli animi e dei sentimenti. Una generazione di “adulti” preoccupata dal dover affermare se stessa come classe politica indiscussa e indiscutibile al di là di ogni ragionevole evidenza di insuccesso, cercando, così, nel proporsi a tutor del movimento, quell’ulteriore legittimazione e giustificazione per mantenere in vita il proprio modello di politica desueto, che celebra l’immobilismo quale unica garanzia per perpetuare trasversali poteri di famiglia e di partito.