Il Vaticano e il "nuovo" mondo
Questioni di fede, questioni di animo, di sentimento e di politica. La fede tra quotidiano senso civile di convivenza, tra parità di coscienza, rispetto e tolleranza delle diversità si divide in un cammino lento, difficile ma inesorabile, verso una modernizzazione che la obbliga a porsi come alternativa ad altre fedi che si sommano, a loro volta, a diritto e politica. In un’epoca così fortemente di transizione è vero che il relativismo morale può essere causa di un annullamento di una certa verità consentendo la trasformazione della stessa in più verità così come, poi, in più opinioni. Ed è altrettanto vero che un certo sincretismo religioso che potrebbe prevalere proprio dal contatto sempre più semplice e immediato tra fedi diverse accomuna tutte le confessioni religiose e nessuna di esse. La verità che si profila in questi anni è che se si vuole attribuire un valore alla religione bisogna evitare che gli uomini, per prendere in prestito una riflessione di Cesare, credano volentieri che sia vero solo ciò che desiderano. Nella lotta tra laicismo e religiosità, tra tolleranza e integralismo, oggi si tratta anche di impedire che la religione si trasformi da dottrina filosofica fondata sulla dimostrazione ad una dottrina fondata solo sulla autorità come avvenuto nel cattolicesimo preconciliare e nell’Islam fondamentalista. Si tratta di evitare che la religione sia come il nazionalismo, e come tutte le consuetudini e fedi che, parafrasando Erich Fromm, per quanto degradanti e assurde esse possano essere, purché colleghino gli individui agli altri, siano solo rifugio per proteggersi da quello che l’uomo teme di più: l’isolamento. Tutto ciò richiede uno sforzo non trascurabile nel riuscire ad impedire che la religione ritorni a ridursi ad un semplice schema interpretativo visto come la mappa che permette all’uomo di orientarsi nelle sue zone di perplessità. Ecco, se tutto questo ha un senso, se la religione fa parte della cultura ma non come dogma, allora anche la laicità diventa per essa un valore, perché questa serve a preservare la stessa natura della religione, perché evita - seguendo Tocqueville e disancorando l’obiettivo civile da quello religioso - che alleandosi con il potere politico la religione accresca la sua autorità su pochi e rinunci alla speranza di poter regnare su tutti. Così se laicità e fede sono valori per tutte le coscienze, allora la verità di fondo va ricercata nel rapporto fra fede e politica. Un rapporto dove la religiosità perde di vista il senso civile dell’ordinamento degli uomini, abbandonando la concezione liberale dello Stato quasi come se essa fosse anticlericale per definizione. Ma non è così. La sopravvivenza del culto e la libertà di professare proprie religiosità - nel rispetto dei princìpi laici che sono a fondamento di una democrazia moderna e di tipo occidentale - sono i caratteri di una società che affronta la modernizzazione e tenta di non finire nella trappola del relativismo quale risultato di una reazione indotta da un radicalismo religioso, un radicalismo che allontana invece di aggregare. Ecco perché diventa difficile stabilire quanto l’Occidente abbia bandito la religione dalla vita pubblica. Forse dovremmo chiederci quanto si abusi della religione in altre comunità, dove la libertà laica non è voluta per difendere una dittatura politica o teocratica che esclude altre spiritualità al di là di ogni valore democratico e laico di libertà di coscienza e di fede. Quella libertà di coscienza e di fede che trova nel relativismo illuminista la sua difesa quale valore universale garantito agli uomini nella libertà di culto e nell’assolutismo dogmatico la sua incomprensibile deriva verso l’intolleranza religiosa e la dittatura delle idee.