Il caso di Eluana Englaro, per ben 17 anni in stato vegetativo a seguito di incidente stradale, e la richiesta della famiglia di interrompere l’alimentazione forzata ritenendolo un accanimento terapeutico per una condizione clinica caratterizzata dall’irreversibilità delle condizioni di Eluana, hanno dato vita ad un dibattito senza sosta sulle questioni di fine vita. Una interminabile querelle giudiziaria e una ondivaga valutazione della politica hanno caratterizzato i primi mesi del 2009 e posto all’attenzione dei media il mai risolto rapporto tra Chiesa, Stato e società.
Crisi economica, riflessioni sulla disciplina giuridica della vita nella sua criticità, emarginazione sociale e accesso alla ricchezza, crescita dell’uomo quale persona, difesa dei diritti che lo contraddistinguono in quanto tale, sono solo gli argomenti che determinano un confronto politico e dialettico a metà strada tra il senso dell’eticamente corretto e del politicamente laico per uno Stato di diritto. Le polemiche degli ultimi mesi, dal caso Englaro al rapporto tra laicità e fede in generale, l’intervento della Chiesa, la ricaduta delle opinioni espresse nel dibattito politico orientato a conquistarsi, a vario titolo, il consenso del cattolicesimo, dimostrano quanto la politica sia, ancora una volta, in bilico tra coscienza e diritto.
In tutto questo la Chiesa, nella sua espressione di comunità non solo religiosa ma anche politica nel senso ampio del termine, dovrebbe riproporre possibilità di confronto che vanno al di là delle stesse divisioni di parte e che dovrebbero assumersi a principio di ogni azione politica, sia essa laica o meno laica: ovvero, trovare le giuste linee di sintesi nel dare corso a programmi ed iniziative legislative che riguardino l’uomo come individuo e come cittadino. Da Giovanni Paolo II con le sue encicliche, tra queste la Quadrigesimo Anno, che mettono al centro l’uomo nel mondo del lavoro, oppure nella retrospettiva certamente non priva di attualità della dottrina sociale della Chiesa, la dimensione di un Paese cattolico, sempre più multiculturale e multiconfessionale, non può che ritornare ad essere protagonista nel panorama politico proponendo un vero approfondimento delle due correnti che lo hanno contraddistinto negli anni della storia repubblicana ed anche prima: il cattolicesimo liberale e il cattolicesimo sociale.
Dalle idee di Rosmini, di Don Sturzo fino ad arrivare a Don Giussani, si potrà rinvenire un unico filo conduttore della filosofia politica del cattolicesimo militante dalla quale la stessa Chiesa non potrà prescindere soprattutto in un modello di relazioni federali. E cioè, il considerare la crescita dell’individuo un obiettivo possibile attraverso la partecipazione. In questo caso, il dibattito politico sul federalismo, sull’identità della nazione e delle comunità locali non potrà esimersi dal confronto dal momento che è evidente che, sia che ci si trovi a destra che a sinistra, si dovrà puntare ad offrire un ethos condiviso. Oggi, allargando lo spettro dell’etica ad una società in transizione, per poter far crescere le nostre comunità bisognerà superare non solo gli steccati di una sterile contrapposizione fatta da opportunismi contingenti ma quell’incapacità di critica, di giudicare i fatti e le situazioni che rendono ostaggio le nostre coscienze di una trappola psicologica e sociale costruita su un’architettura mediatica alla quale anche la Chiesa sembra a volte non rinunciare.
Si ragiona spesso secondo delle prefigurazioni indotte, ovvero attraverso preconcetti, pre-spiegazioni che sono subliminati dalla volontà di abbattere il libero convincimento possibile per orientare, se non condizionare, il consenso. Chiesa e Stato si sono trovati molto vicini in questa manifestazione di potere che, in realtà, non offre un adeguato servizio alla crescita di una società matura che dovrebbe fondarsi sul sentimento del libero convincimento. Oggi, per poter raggiungere una maturità necessaria e definirci comunità è necessario riappropriarsi della capacità di interpretare i fatti e gli avvenimenti con buona libertà. Chiesa e Stato, per un Paese moderno, nel loro confronto sui temi etici, devono considerare che princìpi e valori non possono essere degli ostacoli, ma devono rappresentare indicazioni di una storia condivisa, riconosciuti come tali e come tali difesi.
Oggi si tratta di superare il concetto del moralmente difficile per favorire nel cittadino e nel fedele, posto di fronte ad una società multiconfessionale, la consapevolezza che in un’ottica di responsabilità politica diretta, in chiave soprattutto federalista, si deve essere consapevoli di chi siamo e di chi e cosa vogliamo essere, di ciò che facciamo e di ciò che vorremmo fare. Tutto questo perché se esiste una società avanzata, se l’Italia è un Paese moderno, allora vuol dire che c’è una prospettiva comune e condivisa tra centro e periferia, tra laicità e fede, tra valori comuni e sentimenti possibili. Un futuro che deve andare oltre le barriere del momento e le facili strumentalizzazioni di parte cercando di collocare etica e necessità di diritto all’interno della dimensione umana, sia essa di fede per l’uomo che laica per il cittadino.
Dalle idee di Rosmini, di Don Sturzo fino ad arrivare a Don Giussani, si potrà rinvenire un unico filo conduttore della filosofia politica del cattolicesimo militante dalla quale la stessa Chiesa non potrà prescindere soprattutto in un modello di relazioni federali. E cioè, il considerare la crescita dell’individuo un obiettivo possibile attraverso la partecipazione. In questo caso, il dibattito politico sul federalismo, sull’identità della nazione e delle comunità locali non potrà esimersi dal confronto dal momento che è evidente che, sia che ci si trovi a destra che a sinistra, si dovrà puntare ad offrire un ethos condiviso. Oggi, allargando lo spettro dell’etica ad una società in transizione, per poter far crescere le nostre comunità bisognerà superare non solo gli steccati di una sterile contrapposizione fatta da opportunismi contingenti ma quell’incapacità di critica, di giudicare i fatti e le situazioni che rendono ostaggio le nostre coscienze di una trappola psicologica e sociale costruita su un’architettura mediatica alla quale anche la Chiesa sembra a volte non rinunciare.
Si ragiona spesso secondo delle prefigurazioni indotte, ovvero attraverso preconcetti, pre-spiegazioni che sono subliminati dalla volontà di abbattere il libero convincimento possibile per orientare, se non condizionare, il consenso. Chiesa e Stato si sono trovati molto vicini in questa manifestazione di potere che, in realtà, non offre un adeguato servizio alla crescita di una società matura che dovrebbe fondarsi sul sentimento del libero convincimento. Oggi, per poter raggiungere una maturità necessaria e definirci comunità è necessario riappropriarsi della capacità di interpretare i fatti e gli avvenimenti con buona libertà. Chiesa e Stato, per un Paese moderno, nel loro confronto sui temi etici, devono considerare che princìpi e valori non possono essere degli ostacoli, ma devono rappresentare indicazioni di una storia condivisa, riconosciuti come tali e come tali difesi.
Oggi si tratta di superare il concetto del moralmente difficile per favorire nel cittadino e nel fedele, posto di fronte ad una società multiconfessionale, la consapevolezza che in un’ottica di responsabilità politica diretta, in chiave soprattutto federalista, si deve essere consapevoli di chi siamo e di chi e cosa vogliamo essere, di ciò che facciamo e di ciò che vorremmo fare. Tutto questo perché se esiste una società avanzata, se l’Italia è un Paese moderno, allora vuol dire che c’è una prospettiva comune e condivisa tra centro e periferia, tra laicità e fede, tra valori comuni e sentimenti possibili. Un futuro che deve andare oltre le barriere del momento e le facili strumentalizzazioni di parte cercando di collocare etica e necessità di diritto all’interno della dimensione umana, sia essa di fede per l’uomo che laica per il cittadino.