Molto spesso per ricordarci valori e principi a cui dovremmo ispirare la nostra vita sociale siamo costretti a doverci confrontare con drammi, con eventi che dell’imprevedibilità ne sono l’epilogo e che rappresentano quel richiamo alla nostra fragilità come uomini. Tutto questo, poi, nella cultura meridionale e mediterranea è ancora più enfatizzato dalla paura dell’arcano del destino.
Di quella paura atavica di non riuscire a dominare ciò che vorremmo evitare per la nostra esistenza. L’improvvisa, dolorosa scomparsa della Presidente della Regione dovrebbe farci riflettere tutti quanti su cosa siamo e cosa dovremmo essere rispetto non solo alla vita, ma verso il rispetto dell’altro. Nel rispetto di un ricordo o di uno sguardo. Nel ricordo di una debolezza o di un gesto di coraggio. Siamo stati nel tempo, come in molti in Italia e non solo, ostaggi di un quotidiano fatto di conflitti, di posizioni da difendere per ragioni di partito o per mera personale vanità dimenticandoci degli altri e di noi stessi.
La scomparsa della Presidente è un dramma al quale si può rispondere solo con un comune, umile, sincero senso civico di unità. C’è un dramma che accomuna tutti e che non risponde ad esorcismi da potere o di altro tipo. L’umana lotta contro il male non ha colore politico né può affidarsi al commento di un’idea. La scomparsa della Presidente accomuna tutti in un sentimento di umana solidarietà a chi, anche se per pochi mesi, si è assunta l’onere di guidare una regione ponendo in secondo piano le sue personali difficoltà di salute. Non vi sono altre parole che possono dare un quadro a tale evento.
Dovremmo, da questo, trarre una ennesima lezione, che invece anche nel passato abbiamo presto dimenticato: credere e sostenere con lealtà chi si assume la guida di una comunità offrendo la giusta e dovuta collaborazione, dimostrando di essere portatori di un reciproco interesse che è quello di offrire il meglio ai propri cittadini. In questa malinconica via verso la luce, la strada da percorre non è e non sarà certo semplice. Ma se fossimo meno litigiosi e riconoscessimo nell’altro un calabrese come noi, ogni contrasto sarebbe risolto nella sintesi di un amore condiviso per noi e per la nostra terra.
Ecco allora, da convinto permettetemi calabrese qualunque, credo che in molti dovrebbero fermarsi a riflettere di fronte ad una simile tragedia per dare un senso all’esistenza, all’impegno, al sentirsi parte di una comunità e nel volerla servire sino a quando ciò è possibile con le proprie forze. Qualunque commento che non dia onore a chi si è assunto la difficile guida di una comunità o si è lanciato nel passato in critiche senza costrutto dovrebbe guardare alla fragilità di una condizione umana che non ha colori politici e che non può discriminare in vita.
Oggi ricordiamo una calabrese, una come noi. Una che ha avuto pregi e difetti come ognuno di noi. Oggi dovremmo ricordare che, qualunque siano le difficoltà, nessuno può lasciare indietro nessuno. Oggi dovremmo avere il corraggio – mettendo da parte ogni retorica di circostanza - di rifiutare ogni egoismo di maniera e comprendere che non ci salverà né il successo né la ricchezza ma solo il ricordo, umile e civile, di ciò che siamo stati per coloro che ci hanno conosciuto e che hanno condiviso con noi gioie e dolori, successi e insuccessi.