Diventa difficile riuscire e definire in un quadro dotato di opportuna coerenza l’azione politica del Vaticano nel prossimo futuro. Ma la scelta del cardinale Joseph Ratzinger, da pochi giorni Benedetto XVI, caratterizzerà il nuovo corso per due ordini di motivi. Il primo, perché il nuovo papato non vorrà rappresentare soltanto la guida spirituale della religiosità cattolica, ma il luogo politico attraverso il quale far partecipare il cattolicesimo alla vita della comunità internazionale. Il secondo, perché la scelta di Joseph Ratzinger dimostra quanto si ritenga importante capitalizzare l’eredità di Wojtyla, cioè proseguire, in una sintesi corretta sia politicamente che spiritualmente, a difendere il ruolo del pontefice quale leader di una Chiesa universale il cui futuro, per il solo fatto di essere universale, non può disgiungersi dal destino delle comunità che la compongono: ortodossi e protestanti compresi.
Nel sistema delle relazioni internazionali con Giovanni Paolo II il Vaticano è stato costretto dalla storia ad assumere un impegno diretto, da protagonista, nelle vicende politiche in un mondo polarizzatosi sulle logiche collettiviste e capitalistiche ormai in declino. Con Benedetto XVI la storia costringe la Chiesa a continuare a svolgere un ruolo di necessaria mediazione, ma anche di difesa estrema di valori ritenuti essenziali per restituire dignità ad una fede priva di forza, incapace sino alla svolta polacca di guardare a se stessa come elemento di novità senza perdere di vista i fondamentali valori su cui si costruisce tutta l’architettura cattolica: dalla vicinanza ai più poveri, al tradizionalismo della difesa della famiglia e della procreazione. Non sarà, però, una difesa da trincea tradizionalista e conservatrice.
Un sistema religioso, ovviamente, non può prescindere dai principi che lo caratterizzano. Ma per proporsi verso il resto del mondo dovrà dare corso ad una partecipazione più concreta nella regolamentazione dell’accesso allo sviluppo ed alle possibilità di crescita sino alla libertà tollerante verso le altre confessioni, in un dialogo senza prevaricazione guardando ad un Occidente che con Benedetto XVI cerca di affermare un’identità antica contro un modernismo che abbraccia la scelta consumistica delle idee e delle culture. Ci troveremo di fronte ad una Chiesa che tenterà di creare un equilibrio fra conservatorismo necessario e opportuna disponibilità al confronto, con un nuovo Pontefice che ne proporrà una visione rivisitata, tradizionalista quanto basta, da Sacro Romano Impero. E ci troveremo di fronte ad un Pontefice consapevole di doversi assumere, senza sconti, la responsabilità di presentarsi come espressione concreta di una sintesi spirituale e politica ritenendosi l’unico ad avere argomenti intellettuali e culturali efficaci per sottrarre consenso ad un protestantesimo dilagante da Nord verso Sud.
Un Papa che vuole essere il capo di un’istituzione antica e della quale ne è il primo protagonista. Il primo contadino nel vigneto della storia, e non l’ennesima vittima di una modernità asintomatica, il primo contadino in competizione con il relativismo qualunquistico dei valori oggi sul mercato. Benedetto XVI tenterà di offrirsi come un’antica novità di guida spirituale in un momento storico di indubbia confusione politica e di valori. Per questo, guardando alla tradizione cattolica non latina, l’azione internazionale che ci si aspetta, quindi, non è altro che la prosecuzione di un’opera universale di recupero di credibilità nel mondo della fede evitando un ritorno ad un provincialismo romano che la diffidenza di Wojtyla e la nomina di Ratzinger hanno contribuito ad allontanare. Un’azione, però, che non rimuova il confronto sui grandi temi, per una cristianità cattolica che ha necessità di far coesistere con una visione gerarchica e dogmatica della spiritualità la centralità dell’uomo nell’universo e di Dio al centro dell’uomo.
Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, quindi, vi è un’evidente continuità di prospettive. Una visione del mondo che sembra indicare che lo sforzo ad Oriente sia ancora una priorità per raggiungere un’unità fra i cristiani. Un’unità ritenuta essenziale per poter difendere un’identità in pericolo. Un’emergenza da affrontare superando l’equivoco di proporsi nella tradizionale formula interlocutoria di una religiosità a metà strada fra cattolicesimo romano e l’ortodossia scismatica da Nord a Est. Una priorità che attribuisce all’Oriente un ruolo determinante per iniziare a rovesciare i termini di diffidenza, ad esempio, prim’ ancora che di Pechino, della Russia di Putin. Una sfida che passa da un Papa polacco ad un Papa tedesco: e non è un caso. Ciononostante, però, la Chiesa dovrà contenere anche quei fondamentalismi emergenti che hanno occupato gli spazi vuoti lasciati da un cattolicesimo poco aperto ai problemi della globalizzazione: povertà, emarginazione, scarso accesso alle risorse. E di fronte allo spettro di conflitti, che si sovrappongono alle criticità di una transnazionalità dell’esclusione e della marginalità, a Benedetto XVI è affidato un nuovo compito dalla storia: quello di rappresentare una Chiesa universale e, proprio per questo, itinerante.
Una Chiesa capace di guardare il mondo dal di dentro e non dall’alto di un potere. Una Chiesa, in altre parole, capace di assumere una dimensione internazionale che gli permetta di dotarsi di una competitività ideale, ma non avulsa dalla quotidianità, rispetto alle altre confessioni. Partecipando alla vita dell’uomo per l’uomo attraverso una religiosità missionaria, Benedetto XVI sarà un’autorità di fede ma, solo come tale, non formalmente necessaria per avvicinare alla Chiesa milioni di fedeli, superando le barriere delle guide dei concistori e di ogni gerarchica interpretazione del cristianesimo, quello più vero. In questo senso, guardando così agli Stati Uniti, unica potenza globale, alla Cina emergente, all’Asia dei poveri e dei potenti, all’Africa dell’abbandono e all’America Latina dell’emarginazione e dell’isolamento, al rischio di una polverizzazione delle anime nell’integralismo islamico degli esclusi, anche per il nuovo Pontefice la Chiesa Cattolica dovrà digerire la lezione della militanza di Giovanni Paolo II, della sostanzialità delle proposte e della visibilità pellegrina che superi ogni riduzionismo formale. Una visibilità ed una militanza perseguite adeguando scrupoli dottrinali al risultato di riuscire ad avvicinare l’uomo verso temi difficili ma inevitabili, a volte resi incomprensibili, perché non spiegati all’interno delle singole culture: la vita, il diritto alla partecipazione al progresso economico, al rispetto delle tradizioni e alla tolleranza, alla supremazia del diritto internazionale.
A Benedetto XVI tocca oggi creare una geografia universale di un cristianesimo cattolico senza confini, cercando di riportare verso la centralità della fede le diverse visioni concepite ormai solo come una diversità possibile che può far convivere fra loro i cristiani nell’originaria casa comune. Una geografia del cattolicesimo missionario che recuperi, in sostanza, la predicazione di prossimità, che eviti il rischio che la Chiesa Cattolica possa nuovamente ripiegarsi su se stessa proponendosi solo come un sistema di potere, cercando di limitare il confronto con una visione laica della vita senza trovare una dimensione comune fra gli stessi fedeli. Una partecipazione all’azione internazionale contenendo il proliferare delle sette, del fondamentalismo islamico, dei culti nuovi, alternativi, nati da un bisogno di spiritualità abbandonata da chi della spiritualità sostenibile avrebbe dovuto farne il motivo principale di avvicinamento ad una popolazione insicura. Una Chiesa Cattolica capace, insomma, di continuare ad essere protagonista e che per questo si affida ad un modello internazionalista del proprio ruolo espresso da un Ministro di Dio ancora una volta non italiano.