[…] Ciò che è accaduto un paio d’ore fa a Bruxelles, e che abbiamo potuto vedere in diretta, è un segnale della fragilità della sicurezza europea e della penetrazione dell’estremismo islamico. Gli autori degli attentati sanno bene che le loro azioni colpiscono al cuore le istituzioni europee nel momento in cui queste sono in crisi profonda. Se lo facciano per disperazione o per portare un attacco che prelude a una guerra sistematica non è possibile saperlo. Ma credo che da ora in avanti ogni segno di debolezza, distrazione, disattenzione, sottovalutazione dei rischi sarebbe autolesionistico…[…]
Ennio Di Nolfo (Dal Profilo Fb.) 22 marzo 2016
Il cuore dell’Europa e delle sue Istituzioni è stato colpito. Bruxelles non è solo la capitale del Belgio e l’attentato di oggi non è una sorta di ritorsione per l’arresto di Salah Abdeslam avvenuto qualche giorno fa.
E’ la dimostrazione di ciò che nessuno avrebbe dovuto dimenticare per scarsa capacità di analisi, di studio e di comprensione di un fenomeno che ha molto chiare le strategie da seguire sia nella scelta dei luoghi, dei tempi che delle modalità di condotta. Ciò che sorprende negli attentati terroristici in Belgio, al pari di quelli di Parigi in realtà, è… la sorpresa! Cioè, l’aver considerato con troppa fiducia politiche di sicurezza che non potevano e non possono risolversi solo nel presidio, ma che dovrebbero essere il prodotto di una seria attività di analisi e di ricerca sul come agisce un avversario che ci osserva giorno per giorno, che vive tra di noi e come noi. Mesi fa scrissi che era solo questione di tempo (v. La sconfitta dell’Occidente).
Non poteva sfuggire a qualsiasi modesto osservatore delle dinamiche terroristiche degli ultimi anni che nella scelta di come condurre un attacco del genere non vi fosse un livello strategico di pianificazione operativa, ma solo una abile realtà fanatico-religiosa che affidava e affida lale proprie cellule i modi e i tempi di condurre un attacco. Al Qaeda aveva spostato sul piano di un franchising del terrore la filosofia organizzativa e di condotta del passato superando l’esperienza verticistica palestinese ben consapevole che fare a meno di un livello strategico di pianificazione avrebbe permesso di evitare il rischio di vedersi contrastare e azzerare qualunque operazione terroristica.
Al-Nusra o, se più piace, la versione 2.0 di Al Qaeda non sono distanti dalla concezione di ieri tanto quanto non lo sono altri gruppi che costituiscono questa nuova galassia terroristica e poco importa se sono espressione dell’una, dell’altra o dell’Isis. Ciò che va compreso, e di cui dovremmo farcene una ragione, è che la loro abilità si è spostata progressivamente in avanti. Si manifesta ormai nella capacità di penetrare i tanto complessi quanto farraginosi modelli di sicurezza europei, di coinvolgere le coscienze, di rendere incerta ogni manifestazione della normalità per far precipitare nella paura chi ha esorcizzato con estrema disinvoltura ciò che dietro la porta attendeva di farsi strada: il terrore.
Utilizzando le crisi in Medio Oriente e in Nord Africa, approfittando dei grandi flussi migratori, il terrorismo ha disteso il proprio network in Europa e, dopo averne atteso il consolidamento e, così, l’operatività della propria rete, oggi può colpire dove crede senza lasciare segni di continuità che possano aiutare azioni di contrasto dirette. In questo arcipelago della violenza parcellizzata, ma tenuta insieme da un unico disegno destabilizzante, coordinare gli attacchi è molto semplice dal momento che l’autonomia di pianificazione riconosciuta ad ogni singola cellula permette di scegliere in tempi rapidi obiettivo e modalità di condotta dell’azione. Una scelta che, come era evidente, non cerca obiettivi-simboli, ma insegue l’unico risultato utile, meno complicato, più redditizio: colpire il nostro quotidiano massimizzando, se possibile, le vittime e destrutturando ogni certezza sulla nostra vita.
L’Occidente e l’Europa hanno perso di vista che ogni fragilità politica, ogni indecisione nell’agire, ogni frattura sociale -sommata alla minor credibilità di chi deve governare un momento storico di particolare violenza- rappresentano il terreno più indicato per far si che il fenomeno terroristico possa tessere la sua tela. L’Europa, ancora una volta, dimostra quanto sia minima la sua identità dal momento che il fallimento della sicurezza continentale è dato dal fatto che si continua a ragionare in termini di nazione mentre il terrorismo non ha confini. Il dramma di Bruxelles non è una tragedia belga. Esso segna l’improvvisazione di modelli di sicurezza interna, e di difesa continentale, che si muovono lentamente, che non coordinano le azioni, che non conoscono gli scenari che ci circondano. Modelli che ancora una volta stentano nel decidere in che modo reagire ad attacchi e a minacce alla propria sicurezza, all’interno del proprio spazio come al di fuori.