In un momento difficile delle relazioni internazionali, e di fronte ad un’asintomatica presenza nella società mondiale quale identità politica, l’Unione europea cerca di procedere verso i suoi obiettivi politici e giuridici affidando ad un processo di allargamento la possibilità di estendere il proprio sistema economico prima di tutto e di valori immediatamente dopo.
Certo, l’idealizzazione di una politica che unisce può sembrare retrò soprattutto in un momento di riduzione del ruolo dello Stato quale massima espressione di garanzia di un’identità. Ma affidare il futuro dell’Occidente, perché di questo si tratta, ad un progetto sovranazionale che si estende sul continente, fra diversità anche molto forti, dalla penisola iberica al Baltico non è un’impresa facile. D’altra parte è anche vero che la priorità attribuita all’integrazione economica ha rappresentato, nella sua parzialità, dovuta alla nobile assenza di Regno Unito e Danimarca nel sistema dell’Euro, l’unico strumento possibile nell’immediato per accelerare un processo che sarebbe stato ancora più lento nel suo procedere, dovendo mutuare l’assetto di principio fra diverse culture radicate nella regione: dall’anima latina nelle sue espressioni italiche, a quella francofona ed iberica, o nella cultura sassone quale forzatura di un primo tentativo di prossimità politica cercato da Carlo Magno nel suo quasi Sacro, poco Romano, molto europeo in verità, Impero.
Oggi, di fronte ad un allargamento a venticinque Stati, ci affacciamo verso nuove culture maturate sulla storia di popoli che, seppur diversi, hanno condiviso i drammi di un XX secolo vissuto all’interno di nazionalismi pericolosi e perniciosi. Diversità che oggi rischiano di non difendere se stesse, confondendo la tolleranza della coesistenza con il rigore di una riserva di sovranità che non affranca il singolo Stato membro dall’amalgama relazionale che lo coinvolge direttamente nella vita della comunità internazionale.
Uno Stato la cui capacità di azione non si dimensiona più solo nella sua forza militare ma in quella economica, nell’essere dotato di una forte coesione interna quale ancoraggio e punto di forza per giocare nel teatro della competizione allargata e, per questo, sempre più in difficoltà al di fuori di sistemi aggregativi fra pari. Ma l’Unione europea pur estendendo il suo spazio non riesce a conquistarsi una propria collocazione nel sistema internazionale, tale e tanto da qualificare il suo essere anche un soggetto di diritto e non solo una costruzione politica.
L’Unione europea prova oggi a riempire un vuoto di potere lasciato dalla fine del confronto fra Est ed Ovest: un confronto termoregolato dall’arma nucleare. Ma i vuoti di potere devono essere riempiti con capacità politiche comuni, con pari opportunità e volontà di seguire in comune una via di reciproco sostegno e di unica azione esterna. In questi ultimi anni si è parlato molto di un’Unione europea quale soggetto di diritto internazionale.
La stessa Costituzione europea attribuisce all’Unione la personalità giuridica con tutto ciò che negli effetti dovrebbe conseguire nell’esprimere un’unica volontà politica ed un’unica dimensione giuridica nel rispetto delle singole individualità nazionali. Ma da Nizza in poi, sino a giungere al vertice di Salonicco, la chiusura del cerchio è molto lontana. L’apertura verso Est certamente avvicina l’Occidente con il proprio alter ego orientale, prossimo, concretamente prossimo. Ma il rischio è di allontanarsi per eccesso di sovradimensionamento dalla realtà politica continentale, di spostarne il baricentro politico.
Una Russia in crescita, la Cina in volata verso un rush finale estremamente competitivo, gli Stati Uniti intenti in Iraq a ridisegnarsi un proprio ruolo nella regione mediorientale, ed un mondo arabo in crisi di identità politica, nell’incertezza del futuro di Baghdad e nel terrore di una democratizzazione post-moderna della regione determinano uno scenario così complesso nel quale sembra proprio che la grande assente sia proprio l’Unione europea. Ma, nonostante tutto l’Europa a venticinque di oggi è veramente il primo risultato apprezzabile raggiunto dalla fine della Guerra Fredda.
L’Unione di domani dovrà essere capace di esprimere una propria potenza e di controllare i mercati contenendo la vera minaccia del nuovo secolo affrancandosi dal ricatto terroristico, energetico e di leadership personali. Per questo l’allargamento deve estendere uno spazio di democrazia e di credibilità. E colmarlo non è solo compito della Costituzione per fissarne i valori ed i limiti entro i quali garantire una democratizzazione delle comunità senza egoismi o individualità nel rispetto delle singole diversità. È compito dei governi nazionali, delle popolazioni e del sistema produttivo. Nell’abilità di dare corpo istituzionale ad una realtà geografica ritenuta ancora una semplice astrazione politica.