Le premesse per dimostrare l’esistenza di uno spazio comune di condivisione giuridica di un disegno politico d’integrazione, in prossimità dell’avvio del processo di monetarizzazione con l’Euro, non sembrano le migliori. Le incongruenze fra i vari “sentimenti” europeisti si delineano sempre più chiaramente fra i Paesi partners e, oggi, tocca proprio all’Italia dimostrare il suo euroscetticismo che la porta antiteticamente contro l’europeismo ad oltranza dimostrato in cinquant’anni di cultura politica espressa in tal senso.
La partecipazione ai trattati di Roma, la volontà di raggiungere una chiara dimensione europea dimostrata nell’avvio lento, ma sembrava inesorabilmente progressivo, dell’unificazione non solo economica ma giuridicamente… politica, dalle realtà di Maastricht ed Amsterdam al vertice di Nizza, superando momenti di minor visibilità come a Gand, ci ha da sempre accreditato come esempio di Stato-guida nell’opera di costruzione di una casa comune europea.
Per questo, seppur nelle difficoltà dovute alle diverse tradizioni costituzionali, si è affermata l’esigenza di una Politica Estera e di Sicurezza Comune e di una maggior cooperazione in materia di Giustizia e Affari Interni, affidandone l’armonizzazione ad una ridefinizione della riserva di sovranità nazionale e ad una maggior capacità di adeguare i diritti sostanziali degli Stati membri in materia penale, così come, in progressiva evoluzione, già avviene in quella civile. Nonostante ciò, e nonostante tutte le più favorevoli premesse e dichiarazioni di essere più europeisti di ogni altro, o di esserlo al punto da sacrificare l’unità del Paese in ragione di un disegno europeo, sembra che le difficoltà a pesare il proprio ruolo in Europa non siano così facilmente superabili.
Il problema non è quanti reati siano tali nel dimostrare un disvalore europeisticamente sostenibile e, pertanto, da perseguire con un atto de libertate sovranazionale. È non è neanche rappresentato dal quantum di delega di sovranità sarà possibile attribuire ad un’Unione Europea in ragione di un’inesistente armonizzazione, questa si, dei diritti sostanziali di ogni Stato membro. Il vero problema è dato dalla critica da parte di alcune élites del Paese verso le garanzie di democraticità o meno, oggi, offerte dai partners, o verso le garanzie di difesa che all’indagato ogni Stato membro potrebbe offrire all’interno del proprio ordinamento giuridico-processuale.
Ma allora, ci si chiede: ci accorgiamo oggi che qualche nostro partner non è poi così democraticamente garantista? Ma il diritto di difesa non è un diritto incontrovertibilmente riconosciuto e fondamentale in tutte le architetture giuridico-costituzionali dei Paesi partners? E che valore hanno i diritti fondamentali esplicitati nella Carta Comune, progetto di Costituzione dell’Unione Europea sottoscritta al Vertice di Nizza da tutti gli Europartners? O che valore ha l’aver sottoscritto e ratificato per tutti i Paesi membri la ormai “antica” Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali nel lontano 1950?
E con quale capacità di contrasto, in che misura e su quali reati si potrà realizzare un’efficace lotta al crimine organizzato che proprio nella polverizzazione delle attività in fattispecie apparentemente minori riesce a gestire interessi più ampiamente frutto illecito di fattispecie complesse?
Forse, è giunto il tempo di far decidere al cittadino europeo quale unione politica e giuridica vuole, con quali limitazioni di sovranità, con quali garanzie giuridico-costituzionali a premessa, evitando, così, incertezze politiche, ingenuità giuridiche e, soprattutto, …opportunismi di elités storicamente poco, troppo poco europeiste ancora oggi, e troppo, veramente troppo particolariste… se non provincialmente e, nebbiosamente, campaniliste.