"…La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere, la possibilità per ciascuno di avere una parte reale nelle decisioni…”
Alexander Dubcek

Europa: l’incubo dei francesi

I Risultati del referendum in Francia. L’attesa per i risultati del referendum francese rappresenta il vero incubo per gli europeisti convinti ma anche per chi, nel processo di integrazione continentale, vede la possibilità di riuscire a dare identità politica e competitività economica in un’Europa che non percepisce il proprio peso nella comunità internazionale. Il referendum francese, inoltre, è anche l’occasione per verificare una visione troppo “economica” di un progetto politico che è cresciuto all’interno di una volontà di aggregazione che si è manifestata concretamente in una scelta economica, pur partendo da presupposti politici di alto profilo messi in secondo piano sin dal 1957 dalla diffidenza degli stessi Stati fondatori.

Tuttavia, il significato politico della scelta francese, al di là del risultato concreto, ha messo in evidenza quanto sia fragile l’equilibrio interno all’Unione europea e come sia ancora oggi affrontato superficialmente il dilemma dell’integrazione possibile, giuridica e politica, dopo quella economica. La Costituzione Europea, infatti, non è una Costituzione dotata di originalità.

La Costituzione europea da Laeken, passando per Salonicco e Bruxelles non è altro che una riorganizzazione delle norme contenute nei testi negoziali dotata di una propria identità formale ma legata alle vicende materiali di un processo di integrazione difficile nel quale il passaggio ad una dimensione federale non si realizza. In tutto questo, la visione intergovernativa delle scelte politiche, della manifestazione delle volontà dei partner resta rilevante al punto tale, malgrado il diverso avviso del ministro degli esteri italiano di non escludere una rinegoziazione anche solo di parte della Costituzione stessa di fronte ad un esito negativo di uno solo dei procedimenti di ratifica utilizzati da ogni singolo Stato firmatario. Non solo.

La Costituzione europea, che inserisce e “costituzionalizza” al suo interno come aspetto originale soprattutto la Carta dei Diritti Fondamentali varata nel vertice di Nizza, mantiene un significato ancora troppo economico e non risolve il dilemma di un’integrazione reale, politica, sociale e culturale, dell’Unione europea. Il mantenimento dell’equilibrio dei poteri fra le Istituzioni dell’Unione e la condivisione del potere decisionale fra la Commissione, che rappresenta l’interesse dell’Unione, il Parlamento, che rappresenta i cittadini ma non ha l’esclusività del potere legislativo, e il Consiglio, a cui si affidano gli Stati come espressione di una sovranità non proprio depotenziata, non attribuisce autonomia legislativa all’Unione in quanto tale ma ne sottolinea l’essere ancora l’espressione di una volontà intergovernativa.

Pertanto, di fronte ad un processo inverso di integrazione, prima economica e poi politica, la paura di uno spostamento della centralità delle decisioni economiche ad organismi centrali di un’Europa che non è Stato rischia di giustificare delle spinte dirigiste da parte di partner economicamente più forti Partner, questi ultimi, più collaudati ad affrontare anche situazioni di recessione interna guardando ad un mercato internazionale sul quale intervenire attraverso le istituzioni europee a spese dei membri economicamente più deboli (si pensi alla guida della BCE o alle politiche ristrette decise tra Berlino e Parigi.

Il problema non è costituzionale ma resta governativo. Ovvero, è la percezione dei singoli Stati e delle relative comunità che entra in gioco. La paura di mettere in gioco la propria possibilità di gestire un modello economico per conto terzi mentre Regno Unito e Danimarca restano libere di decidere se e quando entrare nel sistema dell’Euro ancora oggi. Di affidare il futuro di un’economia ad una burocrazia europea. Di dover sacrificare scelte politiche nazionali per salvaguardare interessi sovranazionali non condivisi. È questo, insomma, il vero prezzo da pagare per un’Unione poco politica molto economica e per nulla federale. E in questo l’Italia rischia di farne le spese.

Un modello economico poco competitivo e che si affida solo al terziario retrocedendo dal rilancio dell’agricoltura e dell’industria determina una dipendenza dalle scelte dell’Unione più di quanto noi non riusciamo a percepire. Il rischio di rappresentare solo uno spazio di consumo di beni prodotti altrove è incombente. Una singolarità storica che avvicina l’Italia al proprio Sud questa volta trasformandola nel Sud dell’Unione. Un mercato utile ed assistito per contenere realtà recessive privandola di una competitività di sistema. Ed è questo fantasma che rende insonni le notti dei francesi nonostante la continua conquista da parte loro di imprese italiane, e che suggerisce alla Germania di investire su un’Europa a più velocità ma ad un’unica guida, ancora e solo economica.

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