Il mondo in guerra
Il concetto, il significato di guerra è mutato radicalmente. Tuttavia, come ricordato da Caligaris, una guerra senza vittoria e senza sconfitta agevola la parte più debole. Per la guerriglia prolungare la guerra non è un problema, mentre una grande potenza che non vince né perde entro un tempo ragionevole può considerarsi sconfitta. In tutto questo, tra la guerra in Iraq e l’impegno militare in Afghanistan dell’Occidente, ci si chiede se i protagonisti della politica internazionale debbano sentirsi vincolati dalle ragioni giuridiche o etiche che invocano oppure agiscono secondo un semplice calcolo delle forze o di opportunità? La domanda finale di Raymond Aron, che ancora oggi potrebbe presentarsi come un quesito aperto a chi decide, è ancora valida e non perde di tensione civile. E cioè “[…] Che margine le nazioni e gli uomini di Stato devono lasciare ai principi, alle idee, alla morale o alla necessità? […]”. Informazione, comunicazione soft power, sono concetti che assumono in sé la trasformazione del modo di condurre una guerra o una semplice operazione militare, che sia essa di peace-keeping o peace-enforcing. Nella dinamiche della guerra non vi è nulla di assoluto. Non lo sono i valori e neanche gli ideali che sono posti alla base della stessa. La guerra in Iraq come le operazioni in Afghanistan di fronte all’assenza di dividendi nella vittoria e di certezza di una sconfitta hanno fatto sì che la guerra moderna si trasformasse in un gioco d’azzardo. Ciò è più che sufficiente per dimostrare quanto un processo di democratizzazione non possa essere accelerato attraverso una guerra. L’unica certezza che rimane nel giustificare l’uso della forza per la sopravvivenza fisica ed economica di un assetto politico o economico è che chi controlla il mercato mondiale controlla il mondo e chi controlla le materie prime e le risorse ne assume il potere. Queste sono le logiche di un mondo globalizzato.