Giuseppe Romeo, la Nato va cambiata, ripensata o completamente superata?
Mi rimproverano di essere antiatlantico, ma la mia semmai è una posizione diversamente atlantica. Non si tratta di uscire da una visione comune, fatta di valori condivisi da nazioni che si sono riconosciute in quest’alleanza, anche se le condizioni storiche che l’hanno giustificata erano molto diverse da quelle di oggi.
E allora qual è il punto?
Che il peso specifico di quest’alleanza dovrà sicuramente cambiare. Diventare più euro-atlantico, non squisitamente o forse esclusivamente atlantico. Spostando il baricentro verso l’Europa, cosa che fino a oggi non è avvenuta.
Come mai?
Perché fino a ieri, da europei, ci faceva comodo appoggiarci sulle capacità militari degli Stati Uniti, come potenza dominante dell’alleanza, ma ora questo non è più possibile. Perché non sempre gli interessi degli Usa, politici, strategici ma anche economici, coincidono con quelli dell’Unione europea. Mi sembra strano che questo non venga percepito.
Lo si sta percependo chiaramente con la guerra in Ucraina, che agli Stati Uniti conviene molto e all’Europa ben poco.
La crisi russo-ucraina rappresenta il punto di arrivo di questa visione miope. Gli Usa hanno molto chiare le proprie intenzioni con ogni scelta politica, anche se possiamo discutere quanto esse si realizzino.
In Russia non si sono realizzate molto.
Dapprima hanno cercato di aprire un dialogo con Gorbaciov e Eltsin, cercando di mettere le mani sugli asset economico-industriali. Ma non ci sono riusciti e questo li ha portati ad affondare quel consiglio congiunto Nato-Russia che in realtà era una buona intuizione, in una visione di difesa e sicurezza continentale.
Sicurezza del continente europeo che non può non coinvolgere Mosca.
Il continente europeo non può finire ai confini dell’Ucraina, deve necessariamente andare ben oltre. Altrimenti avremmo un’Europa a metà. La Russia, che piaccia o non piaccia agli Usa, rappresenta un’esperienza storica importante nel percorso secolare della cultura occidentale. Quest’aspetto non è stato preso in considerazione e oggi ne paghiamo il prezzo.
Parlava delle intenzioni degli Stati Uniti.
Il loro disegno è fin troppo manifesto: quello di conservare una politica egemonica in campo economico, ma non solo, a fronte della grande competizione della Cina e della Russia. L’altro loro competitor, paradossalmente, è quello che avrebbe dovuto essere il principale alleato: l’Unione europea.
In che senso?
Nel senso che non si è resa conto che un euro forte ha rappresentato, e avrebbe rappresentato in prospettiva, una minaccia al dominio del dollaro. Ossia il veicolo fondamentale attraverso cui si verifica la politica egemonica americana nel mondo.
Quindi come immagina «la Nato dopo la Nato»?
Non si tratta di chiudere le porte all’esperienza atlantica, ma di rimodularne gli scopi, guardando al futuro. Non puntando semplicemente all’allargamento ai Paesi dell’Europa orientale: un orizzonte limitato, se si fa a meno del dialogo con la Russia, come è infatti avvenuto.
«Perché l’Alleanza rischierà di implodere», come si legge nel suo sottotitolo?
Perché rischierà di contrarsi su se stessa, di fare la fine di una supernova. Talmente si allargherà, aumenterà il suo orizzonte politico-strategico, che diventerà ingestibile e collasserà. Lasciando purtroppo il vuoto a livello di sicurezza comune europea.
Proprio l’allargamento eccessivo della Nato ne rappresenta un elemento di debolezza, quindi?
Sì, perché essa nasce dalla condivisione di forti valori tra le nazioni europee, gli Usa e il Canada. L’allargamento ha progressivamente spostato questo confine valoriale, cercando di introdurre esperienze molto diverse, nella presunzione che i valori fossero non solo uguali ma percepiti con la stessa intensità.
Non è così?
No. Se prima ci difendevamo allo stesso modo era perché allo stesso modo interpretavamo i valori dell’economia di libero mercato, dell’identità nazionale, dei rapporti tra cittadini. Domani questi stessi valori saranno interpretati con strumenti culturali diversi dai nostri.
In termini pratici?
Se la Nato dovesse decidere di intervenire in uno scenario di crisi, al di là di quanto prevede l’articolo 5, non è detto che tutti gli alleati risponderebbero allo stesso modo. Molti, penso ad esempio all’Ungheria di Orban, potrebbero smarcarsi o addirittura mettere in discussione il trattato stesso. E in quel caso che cosa risponderebbe la Nato: oltre a fare la guerra al proprio nemico la farebbe anche al proprio alleato? Una follia. Questi vincoli apparentemente obbligatori in realtà riguardano attori giuridicamente sovrani.
Un’alleanza troppo vasta, insomma, diventa pachidermica e ingovernabile, allenta la forza dei legami.
Nient’altro che una trasposizione della visione di Paul Kennedy sull’ascesa e il declino delle grandi potenze. Più si porta avanti una politica egemonica, più aumentano le risorse materiali e umane impegnate, fino ad arrivare a un punto in cui si supera il breakeven. E così, continuando ad allargarsi, si riduce la possibilità di esprimere una politica estera assertiva, in termini economici e politico-strategici.
Evidentemente, per ritrovare una sua centralità, l’Europa dovrebbe alzare la voce.
L’Europa ha la forza politica, diplomatica e anche economica, se lo volesse e avesse una classe dirigente adeguata, per dettare le regole del gioco. A cui gli Stati Uniti non potrebbero non adeguarsi, pena il loro incubo storico.
Ossia?
La paura dell’isolamento. Da una parte il concetto di homeland, di tutela della madrepatria, li ha portati a condurre conflitti e crisi sempre fuori dai propri confini. Dall’altra, però, questa posizione geopolitica di comodo li può anche isolare dai grandi mercati.
L’Europa può arrivare a competere, anche economicamente, con gli Stati Uniti?
Se si creasse uno spazio economico-politico allargato da Lisbona a Vladivostok, integrato, interdipendente, forte e coeso, allora sarebbe un continente con cui fare i conti. Di fronte al quale gli Usa sarebbero un nano: non solo non potrebbero gestire, ma farebbero fatica a entrare in questa rete. Pensiamo alle capacità produttive e commerciali, alle possibilità di scambi di merci, ai risparmi nei trasporti, al numero di consumatori: parliamo di 800 milioni di abitanti.
E la Cina che ruolo potrebbe avere?
Avrebbe tutto l’interesse a potenziare le relazioni con questa realtà continentale, che per lei sarebbe un interlocutore di consumo importante. Non per nulla è ormai il dominus di qualunque politica economica in Europa, ormai detta persino le condizioni sulla realizzazione delle infrastrutture. È notizia di qualche giorno fa che il grande colosso edilizio cinese ha manifestato interesse verso il ponte sullo Stretto di Messina. Questo la dice lunga.
La crisi ucraina, forse non a caso, ha reciso questi rapporti tra Europa e Russia.
È stata funzionale a isolare l’Europa e a rimettere in pista gli Usa, usciti molto male dall’avventura in Asia centrale. Washington gioca tutte le sue carte, quelli che non lo vogliono comprendere siamo noi europei. Facendosi illudere dalla sicurezza della Nato, pensiamo che il futuro possa essere ancora occidentale, ma in realtà è giocato sugli interessi statunitensi. Che oggi possono essere atlantici, ma domani possono cambiare orizzonte.
Cosa pensa del modo in cui la stampa sta raccontando questo conflitto?
La qualità dell’informazione nel nostro Paese si è ridotta a contenuti di basso profilo, a una narrazione dei fatti e dei rischi poco onesta, presentata per compiacere altri. Non capisco questo plauso di tutta la stampa verso chi ci sta portando, come sonnambuli del 1914, in una guerra di diverse dimensioni e natura.
Cosa intende dire?
Al di là delle ragioni degli uni e degli altri, dobbiamo comprendere che, se il conflitto passasse al livello superiore, inevitabilmente si farebbe ricorso alle armi nucleari. Dapprima quelle tattiche e poi, se non si rivelassero utili a negoziare una volta per tutte, anche quelle strategiche, con buona pace di Biden e amici.
Anche l’Italia è a rischio?
Nella competizione nucleare, fondata sulla gestione del tempo, non vi sono spazi di decisione su quale obiettivo dirigere l’attacco una volta superata, senza successo, la contingenza tattica. Ogni sistema a medio lungo raggio ha il proprio obiettivo predefinito: in Italia potremmo individuarli in Cagliari, Vicenza, Aviano, Camp Darby, Rimini, Roma, Amendola, Sigonella, per citarne alcuni, senza considerare i comandi Nato di Napoli. Ogni capitale occidentale è un obiettivo già assegnato a un sito di lancio pre-programmato.