
L’Occidente, ciò che resta di un’idea di mondo che si propone di essere guida e faro di civiltà anche più antiche, sembra aver scelto di pagare il prezzo di una passione che deriva da una perdita di identità, di ruolo, di valori tradizionali ma anche di opportunità nel guardare al futuro con occhi propri scegliendo, al contrario, di essere compiacente con la dittatura del presente, di cedere a lusinghe di politiche di potenza incompiute e che smuovono code più per frustrazione che per consolidata sicurezza di se. Nell’aver lasciato che la crisi russo-ucraina sortisse gli effetti sperati da Washington, l’Occidente europeo ha ottenuto la sua passione, il suo Venerdì Santo pagato dagli ucraini e diretto dal loro presidente in chiaro delirio di onnipotenza, tanto quanto si potrebbe rimproverare ad un Putin forse velleitario, non assolvibile ma difficilmente censurabile sul campo di chi ha provocato conoscendone la reazione. Tuttavia, ciò che desta maggior sconforto è vedere riposti i destini nelle mani di una disattenta Nato che ha ottenuto oggi, come risultato, l’aver dato a Putin quella popolarità quasi eroica che l’Occidente non ha più da tempo e fatto perdere di credibilità a qualunque narrazione dei fatti, fosse questa anche vera.
Un Occidente falsamente democratico, ostaggio di egoismi che hanno già portato l’Europa nel baratro della Grande Guerra, maturati in quelle parti del continente che oggi incitano la Nato ad essere più assertiva. Un Occidente che ha usato, se non favorito, nel passato dittatori senza scrupoli, amico di regimi ancora oggi antidemocratici con cui fa affari vendendo armi in cambio di petrolio, per poi magari abbatterli domani come ieri quando non saranno più utili, che archivia drammi umanitari come nello Yemen o nell’imbarazzante altrove che sembra non esistere negli atlanti delle televisioni euro-corrette.
Un Occidente regno di un’ipocrisia funzionale, franato in ogni luogo nelle morti “collaterali” delle cosiddette operazioni di peace keeping e, meglio ancora, di peace-building a via di bombe lanciate senza comprendere che certe ferite neanche il tempo riuscirà a rimarginare, nei Balcani come nell’altrove del mondo. Un Occidente che nelle sue censure, messe in campo alla stessa stregua del “dittatore” che intende combattere, oggi dimostra di non avere più valori propri da difendere, che si nasconde per paura di far dispetto al dominus d’oltreatlantico cedendo se stesso alla celebrazione della liquidità delle relazioni sociali e politiche in nome di un dominio finanziario dei nostri destini, delle nostre vite affidato a lobby senza scrupoli che considerano ogni individuo una parte della merce da negoziare.
La Russia non è la Corea del Nord né un Paese arabo alla ricerca continua di una stabilità sotto le vesti del sovrano di turno. È, la Russia, che ci piaccia o meno, l’anima di un’Europa storica e specchio anche dei suoi drammi, dei suoi errori, così come un Walter Schubart richiama e bene nel suo mai più ripubblicato L’Europa e l’anima dell’Oriente. La Russia è la frontiera di quell’Europa che l’Oriente voleva conquistare, e che oggi ci riprova economicamente. Una nazione, la Russia che, invece di portarla su binari comuni di una storia europea condivisa, l’Occidente, l’Europa democratica, l’ha respinta come neanche accaduto quand’era Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, sin dal 1997, da quando aveva chiuso i conti con le pretese del comunismo, e ogni volta a seguire perché troppo convinti, gli euroatlantici, che il vero suprematismo cui essere fedeli è quello che vuole far adattare il nostro stile di vita alla dittatura dei consumi, alla democrazia a senso unico degli Stati Uniti e dei suoi oligarchi.
Oggi l’Occidente europeo, con noi tutti, gioca la partita con la Russia per conto degli Stati Uniti sulla pelle del popolo ucraino condannato a pagare il prezzo di una propria leadership irresponsabile e ormai chiaramente eterodiretta e che usa simboli neonazisti che pensavamo sotterrati dalla storia. Un popolo, quello ucraino, funzionale nel suo destino agli interessi degli americani e strumentalmente sostenuto da chi, invece, l’Europa, avrebbe dovuto impedire - non perché prevedibile ma perché scritto nei fatti - che si giungesse a tanto. Vittima, il popolo ucraino, di un azzardo giocato dagli Stati Uniti, geopoliticamente in debito d’ossigeno e che mirano da tempo ad accaparrarsi l’economia russa distruggendo quella europea per controbilanciare il loro fallimento nella partita con la Cina. Forse il “democratico” Occidente - che per storia va dagli Urali a Lisbona e solo per alcune affinità giunge sino a Vancouver - dovrebbe leggersi cosa ne pensa della democrazia, ovviamente di quella occidentale, Amartya Sen, Premio Nobel per l’economia. Ma non solo.
Oggi l’Occidente a voce unica si divide tra pro e anti Putin, come se Putin non rappresentasse la Russia o buona parte di essa. Sanzioni o meno, censure o negazione di scene e di cattedre alla cultura russa si stanno rivelando un boomerang senza precedenti: le sanzioni, perché non esiste mercato europeo senza Russia; la cultura russa boicottata, perché l’Occidente trova nel pensiero come nelle opere russe una parte fondamentale nella sintesi contaminativa che ha costruito la cultura occidentale. Quella cultura alla quale si sono abbeverati i grandi scrittori anglosassoni e di cui neanche la letteratura americana dell’Ottocento e anche dopo ha potuto farne a meno nell’ispirarsi per darsi una dignità. I Dostoevskij, Tolstoj, Grossman, Solgenitsin, Schubart ma anche un Ossendowski come le opere di Aleksandr Sergeevič Puškin o un Tchaikovsky defenestrato con il suo “Lago” da un teatro democratico italiano, hanno contribuito a costruire la cultura europea e definito anche il corso politico del continente.
In altre parole, oggi nella “tolleranza repressiva” di marcusiana memoria, un compulsivo Occidente atlantico nel portare avanti un pensiero antirusso senza guardare agli errori o alle supponenze a stelle e strisce ha finito per dare alla cultura russa un seguito incredibile mai avuto nella storia, con librerie che offrono in vendita libri e opere russe e, questo, soprattutto tra coloro che non sono mai stati comunisti in passato. Una dimostrazione di quella “eterogenesi dei fini” che un certo Wilhelm Wundt coniò brillantemente più di un secolo fa. Insomma, la Nato e un giornalismo fazioso e non degno di Stati a democrazia compiuta forse vorrebbero come ultima scelta, magari a compimento del Venerdì Santo, legittimare una Bücherverbrennungen, un bel rogo di libri ed opere non allineate con il sistema; oggi rappresentato dal cosiddetto “mainstream” o effetto di una “cancel culture” che suona meglio ma che, in fondo, sono entrambi l’alter ego di quanto fatto dai nazisti durante il 1933 e la cui massima espressione fu raggiunta nel maxi falò del 10 maggio nella oggi Bebelplatz di Berlino.
Tutto questo sarebbe solo l’epilogo del triste, se non drammatico, nulla europeo sul quale Washington fa affidamento per dominare senza sporcarsi i destini altrui e soddisfare i propri interessi. Il fallimento decisivo di ogni dignità a voler essere storicamente presenti come europei nella nostra prossima storia. La verità, è che andando oltre parlamenti ormai popolati da fantasmi che alzano la mano a comando, la via europea è con una Russia partner in un modello cooperativo che riconosca diritti, valori, storie per popoli costretti a dover vivere insieme, russi e ucraini compresi. Putin o non Putin, l’unico augurio possibile è che il destino dell’Europa torni in mano agli europei, ai popoli europei. Buona Pasqua!