Nel nome del primo colpo, ultimo colpo

Insomma, ancora una volta sembra che i tamburi di guerra rullino in Europa. Credevamo di aver costruito un continente migliore, pacifico, capace di negoziare e di affermarsi come un esempio di valori che restituissero concretezza ai destini di ognuno di noi archiviando le ipocrisie di potenza del Novecento. E invece no! Siamo ancora fermi oggi al chi ha ragione o torto; alla condanna o all’assoluzione o, ancor peggio, alla tolleranza di doppi standard nel legittimare azioni di alcuni e condannare le reazioni degli altri.
In questo continente ormai ridotto a spazio di consumo etico e materiale, che si illude di contare qualcosa nel mondo senza guardare al portafoglio di una valuta ormai ostaggio delle intemperanze del dollaro, subordinando la fede nella forza dell’euro all’impietoso controvalore con cui faremo i conti già da oggi, rischiamo di andare a sbattere il muso sulla nostra ignavia. In questa fede sulla vittoria possibile di un’Alleanza che rischia di cuocersi nel suo stesso brodo per supponenza strategica, oltre che politica, c’è un presidente, Joe Biden, che continua sulla strada dello scontro possibile con la Russia, come se le provocazioni di ieri non avessero già fatto molti danni all’Ucraina, illusa sulle reali intenzioni di Washington e non ancora svegliatasi del torpore della storia, e rischiano di distruggere l’Europa.
Già, perché sembra facile parlare di uso tattico dell’arma nucleare, ma le prospettive non saranno né preventivabili e, se fosse, neanche governabili. Se è vero che una guerra si sa come inizia ma non si conosce come potrà concludersi, probabilmente ogni certezza nel campo dell’uso delle armi nucleari dovrebbe far riflettere sui costi umani e ambientali del possibile post-conflict. Sui drammi nel tempo che anche coloro che oggi non ne escludono il ricorso, convinti di regolare una volta per tutte i conti con la Russia saranno chiamati a pagare (ricorderà qualche lettore un certo Curtis LeMay, istrionico comandante dello Strategic Air Command di cui si innamorò, cinematograficamente si intende, il Kubrick di Dottor Stranamore che voleva scatenare un conflitto nucleare nel 1962 per chiudere definitivamente la partita con l’Unione Sovietica durante la crisi missilistica di Cuba?). Generali dalla cultura strategica pronto consumo, perché convinti di essere immuni dalle rappresaglie o perché eterni highlander. Insomma non è bastata una Grande Guerra che non risolse nulla se non portare l’Europa a essere un nuovo cimitero. Non è bastata una Seconda per capire che il male a volte è di una banalità estrema (Hannah Arendt non insegna mai abbastanza) e che non solo la tirannia nazista, ma il monopolio del potere del dopo ha armato più volte molti lone gunmans facendo sì che la storia rimanesse appesa agli interessi del nuovo mondo.
Se ci trasferiamo sul piano tattico del possibile uso della Bomba B61-12 da parte della NATO convinti, come convinto può essere un Presidente che dovrebbe guardare alla sua età come esempio di maturità e saggezza pensando che forse di Truman ce ne è stato uno solo per fortuna ed evitare di giocare a fare il cow boy in un film sbagliato, dovremmo comprendere come le B61-12 LEP (Life Extension Program, aggiornamento non solo per capacità distruttiva anche se sul piano tattico ma per essere impiegate da F35A AFA6) non potranno mai essere un efficace strumento per ottenere quel tanto agognato first strike che nella competizione nucleare del passato fu archiviato.
Forse Biden ha delle certezze che ai più sfuggono su cui fonda le proprie parole o, probabilmente, non vi è una buonafede in chi lo consiglia visto che credere in una capacità di first strike è una sciocchezza. Un azzardo senza ritorno dal momento che è realizzabile solo sul piano strategico (con impiego di sistemi missilistici ICBM) mentre sul piano tattico le Bombe B61-12, qualora utilizzate, potranno solo dare luogo ad una spiralizzazione deliberata, quindi ad una escalation nucleare che nessuno in Europa potrà controllare (qualcuno degli ufficiali titolati tSG che magari segue queste riflessioni ricorda per caso il volume di Franco Casadio, La conflittualità internazionale? degli studi passati?). Direi che se questa è la strategia degli Stati Uniti, o il loro cinico tentativo veramente siamo in mano a degli improvvisati strateghi non degni di un tavolo da Risiko.
Settant’anni di strategie nucleari hanno dimostrato che "nessuno" ha garanzie di primo colpo, ma solo maggiori probabilità di secondo colpo e non si tratta di avventurarsi sulle sponde dei giochi a somma zero o andare a cercare se esiste un pay off che possa appagare un senso di vittoria sui milioni di morti che conteremo. Si può solo dire che il narcisismo strategico così criticato in termini di debolezza degli Stati Uniti da McMaster nel suo Battleground The Fight to Defend the Free World (2020) si è trasformato, di fatto, in follia strategica per un mondo che non sarà libero, ma defunto. Un aspetto, questo, che non sembra essere chiaro agli strateghi degli Alti Istituti di casa nostra o dei College atlantici sparsi in Europa ritenendo, ovviamente, che l’impiego selettivo della B61 LEP sui centri di comando anche in profondità avversari possa azzerare ogni rischio di reazione.
Ogni base NATO, Italia compresa, come ogni possibile installazione russa, è un obiettivo impostato su sistemi d'arma programmati e gestibili secondo procedure che vengono avviate man mano che si innalza il livello di rischio e in automatico. Per rendere concreto un first strike, incrociando le dita e accettando il rischio calcolato di non farcela, gli americani e gli alleati che si trovano basi nucleari nel proprio territorio e autorizzati all’uso dovrebbero essere sicuri:
1. di poter scatenare un attacco simultaneo contro la Russia;
2. ...quindi che l’effetto sorpresa si realizzi;
3 che si colpiscano e interdicano tutte le capacità di scoperta e di reazione dell'avversario, disabilitando contemporaneamente TUTTE le procedure dei sistemi di lancio.
Se solo gliene sfuggisse uno noi europei, ed è una certezza, non avremmo tempo per raccontarci nulla. Pensare che un avversario come la Russia possa ridursi a essere un bluff strategico sul piano della capacità di risposta nucleare è pura incoscienza e incompetenza, perché per Mosca la deterrenza e la capacità di risposta come second strike è l’ultima chiamata alla sopravvivenza. Ma non solo. La Russia può dislocare e ridislocare di volta in volta i sistemi missilistici ICBM potendo sfruttare un retroterra strategico immenso, sia su ruota che su ferrovia, e colpire l’Europa occidentale e gli Stati Uniti comunque da terra, convinti di poter contare su una significativa capacità di risposta nucleare SSBM (sottomarina). Alla fine rimane il sospetto, come segnalato da un attento osservatore di cose militari, che le B61-12 LEP e le Bombe N in genere siano considerate strategiche solo per Russia e per i Paesi europei, Italia compresa, visti gli spazi ridotti che sono ampiamente copribili e sovrapponibili, mentre solo per gli Stati Uniti, forti della loro distanza oltreoceanica dal campo di battaglia, sono da considerarsi tattiche.
Sembra replicarsi, insomma, ciò che l’Europa visse, anche se in tempi meno ossessivi, con la vicenda degli euromissili (ricordate Pershing/Cruise NATO-USA vs SS-20 URSS-Patto di Varsavia?) il cui rischio di un conflitto limitato al teatro europeo quale possibilità fu evitato da un abile e concreto Kohl. Ecco, una possibilità del genere sembra richiamare un pactum sceleris definito a distanza e per il quale Washington da buona patria di cowboy, sembra voler offrire a Mosca il solito OK Corral, l’Europa, per la sfida decisiva, evitando, così, di farsi male, Russia e Stati Uniti, a vicenda. Insomma, se l'obiettivo Usa è far incenerire l'Europa questa è la strada buona così finalmente sparirà un incomodo e potranno giocarsela, oltre che con la Russia, con la Cina.
Tomáš Masaryk, che fu anche presidente della Cecoslovacchia, dichiarò che l’Europa alla fine della Grande Guerra era diventata un laboratorio sopra un grande cimitero. Forse l’Europa è ancora un laboratorio, ma credevamo che i germi della follia li avessimo sepolti da tempo e, invece, a quanto pare ritornano e si autoreplicano.