
Per entrambi gli schieramenti non vi sono riforme più urgenti del non riformare nulla, di mantenere un senso di possesso del potere senza dialettica se non quella partitica. Un potere che non si esprimerà attraverso la “nuova” legge elettorale nell’esercizio delle volontà del cittadino di poter scegliere, ma che si ingesserà, ancora una volta, sulla cooptazione elettorale delle segreterie. In questo destra e sinistra, al di là delle dichiarazione di facciata, sono molto simili. Se la destra tenta la spallata per sostituirsi ad una sinistra dimostratasi vulnerabile idealmente e nei fatti, essa trascura la propria frammentazione, il fatto di non rappresentare ideali tali da coniugare senso di nazionalismo tollerante e liberismo economico, di andare oltre offrendo risposte adeguate e tangibili alle emergenze sociali che colpiscono una società consumistica ostaggio delle telepromozioni e delle aspettative di spesa che non si realizzano nei fatti.
Dall’altra parte, da parte della sinistra cioè, il braccio di ferro tra il Partito Democratico, che sceglie in questa occasione di pesare il proprio valore correndo da solo, e una serie di nuovi cespugli nei quali si frammenta uno spirito sociale poco ideale, se non nell’assicurare la continuità di una dialettica del confronto fine a se stesso. Certo, l’Italia non è la Germania. Una Grosse Koalition sarebbe stata un successo di responsabilità politica e di maturità storica. Ma si sa, per i tedeschi la Germania è “über alles” , al di sopra di tutto, mentre l’Italia non è ancora, e non lo sarà, al di sopra degli interessi dei partiti e di chi continua a vivere affermando un’oligarchica rappresentazione di una democrazia immatura.