
Tuttavia, però, diventa sempre più evidente che la reiterazione continua di crisi regionali, dal conflitto israelo-palestinese, all’Iraq e all’Afghanistan sia una minaccia reale per la sicurezza futura e per poter realizzare un ordine condiviso, affrontando il caos contemporaneo, e raggiungere una soluzione possibile ad un clima di instabilità diffusa in regioni chiave per la sopravvivenza energetica dell’Occidente. Evitare il rischio di una balcanizzazione del Medio Oriente e dell’Asia Centrale è affidato ad un nuovo gioco di potenza. Un gioco che si esprime ancora oggi all’interno di un sistema sub-regionale caratterizzato ora dalla ricerca di relazioni cooperative, ora da azioni politiche concorrenti.
Un altalenarsi di scelte e di posizioni assunte da attori vecchi e nuovi, tipiche di un sistema d’ordine ormai conclusosi e risultato di una duplice iniziativa. La prima di Washington avviatasi in passato nell’uso dello strumento talebano per ancorare la crisi afghana, e con essa l’Asia Centrale, al processo di cambiamento in atto nel confronto definitivo fra Est e Ovest. La seconda dettata dalla possibilità di Mosca e di Pechino di ridefinire in chiave eurasiatica due profili geopolitici e geo-economici emergenti nell’area caspico-caucasica e nella regione estremo-orientale, assumendo profili di appeasement verso leadership regionali presenti nell’area del Golfo come l’Iran. Da tutto questo, il sistema contemporaneo delle relazioni politiche non si distingue dal passato per semplicità.
Oggi si osserva una prima variabile interna al processo evolutivo delle relazioni internazionali in Medio Oriente e in Asia Centrale, rappresentata dal dominio possibile che potrà essere esercitato sulle comunità attraverso l’uso di fattori metapolitici, o mediante architetture di potere trasversali. Siano esse legate a vincoli religiosi o a fattori etnico-culturali. Per fare un esempio, guardando alle crisi mediorientali come alla situazione afghana, non si potrà non considerare che l’azione politica, come quella militare, condotta dai talebani in Afghanistan, come da Hezbollah in Libano e Hamas in Palestina, non siano che il risultato di un coinvolgimento delle coscienze nella manifestazione di interessi politici nella regione da parte di Stati che affidano alla loro credibilità da parte delle masse la sopravvivenza dell’autorità che li governa. Ed è altrettanto evidente che l’assetto geopolitico del Medio Oriente e dell’Asia Centrale, o del Grande Medio Oriente se si vuole, si caratterizza per essere il risultato precario di una corsa delle potenze di ieri, Stati Uniti e Russia, volta a colmare i vuoti di potenza e di potere di fronte all’ascesa geopolitica della Cina. Vuoti creatisi quale risultato della riduzione della proiezione internazionale per Mosca e di un’eccessiva estensione degli sforzi da parte di Washington che coinvolgono un arco di crisi che va dall’Africa maghrebina sino alle porte di Islamabad, dalla regione del Golfo all’Oriente del Grande Gioco.
Ora, di fronte a ciò, l’Occidente percepisce il rischio di essere escluso. L’Occidente contemporaneo, infatti, sembra non essere riuscito in questi anni ad offrire nulla di più moderno che strutturare le relazioni internazionali sulle regole di mercato. Regole poste apparentemente a tutela delle diversità di accesso, ma con il risultato di provocare un disallineamento delle possibilità di sviluppo quale strumento alla base della competitività mondiale. Una competitività che modifica la natura stessa della leadership soprattutto economica, secondo le logiche di trasformazione continua delle economie occidentali da produttive in finanziarie.
Il risultato ottenuto è che mentre l’Occidente paga il prezzo di un’approssimazione politica sul suo ruolo e sull’esistenza di un’identità condivisa, la paura della modernizzazione continua a rendere coese le comunità più povere dell’Islam. Comunità queste ultime, come quelle afghane, che nell’utopia panislamica cercano di affermare un proprio modello di vita contro una modernizzazione fondata solo su termini di scambio e su culture dominanti che mirano a ridisegnare un nuovo equilibrio di potenza a più attori. Un aspetto dal contenuto politico non trascurabile che non sarà posto in discussione tra i banchi delle Camere italiane.