
Se non fossimo italiani questo atteggiamento sarebbe difficile da spiegare. Ma il nostro essere giudici ed arbitri in casa altrui è un vizio che non ci smentisce mai. Un vizio che si manifesta periodicamente poiché siamo abituati a non vedere differenza tra destra e sinistra quando nel decidere da che parte stare la scelta è sempre il risultato di interessi di parte. Ma la Grecia è un paese diverso dall’Italia. Simile, se tale, soprattutto per gli aspetti negativi, ma diverso per i valori a cui quando necessario il popolo greco si richiama. In questa visione storica di un paese distrutto già dalla speculazione edilizia degli anni del dopoguerra, difficilmente riscostruito economicamente e socialmente dopo l’epoca dei colonnelli - con forze di sinistra e di destra diametralmente opposte e capaci di esprimere forti tendenze radicali - oggi presenta, però una particolarità. E, cioè, la capacità di mettere da parte ogni barriera ideologica puntando a condividere scelte che siano nell’interesse del Paese.
In politica, come in altre circostanze della storia, le alleanze esprimono il sentimento del momento e su questo, su ciò che provano i greci oggi, sembra non esservi nulla di sinistra e nulla di destra se non la volontà di rilanciare una nazione, economicamente e politicamente in seria difficoltà. La superficialità dell’ingresso di Atene nel sistema dell’euro senza un’economia solida e con conti altrettanto credibili assomiglia un pò a quella dell’Italia delle prime ore. Ma, contrariamente all’Italia (per fortuna nostra ma ancora per poco) gli assetti produttivi del Paese, ovvero le capacità di mercato erano già, e oggi lo sono ancor di più, molto diverse.
Tuttavia la vittoria di Tsipras non è necessariamente una vittoria anti-UE o anti-euro. E’ una vittoria che sottende due risultati. Il primo, il merito di costringere Germania e BCE, sui numeri di un elettorato di un Paese trasformatosi nel ventre molle dello spazio economico dell’Unione, a rimettere in discussione modi e termini di gestione della moneta comune e delle istituzioni che ne governano le intemperanze dei mercati. Il secondo, di far scendere da posizioni intransigenti e più accomodanti Berlino che, non per nulla, ha modificato in queste ore il proprio atteggiamento ritenendo di poter aprire a soluzioni più possibiliste e non solo dilatorie circa riforme e pagamento del debito. Un atteggiamento che non potrà essere tale solo e soltanto sui conti, ma anche sulle modalità e sui costi del rilancio di tutto lo spazio dell’Unione favorendo una prospettiva più inclusiva che non punitiva. D’altra parte, la dimostrazione di tale necessario obbligo è data dal fatto che la vittoria di Syriza non è stata un motivo di dramma borsistico.
Le diverse letture da parte dei mercati, e anche il segno negativo di Atene (-3,20%), non sono certamente motivi di preoccupazione se confrontate nel passato con tendenze poco felici di ben altro significato e spessore. Certo la vittoria, prevedibile, di Syriza non gioca a favore di un dirigismo semplificato tipico delle culture bancarie e finanziarie in genere. Ma la flessibilità e la duttilità anche in economia, in uno spazio politico che fa della diversità il suo core-business sociale, deve tornare ad essere il motivo fondamentale per rilanciare il senso di una casa comune. Il problema del debito, ad esempio, non è solo un problema greco. L’Italia certo non può chiamarsi fuori. Mutualizzare, ad esempio, potrebbe essere una via a patto che non si mutualizzino solidarietà e condivisione di scelte tra i partner a favore di nuovi unilateralismi di comodo. Unilateralismi che porterebbero i fautori ad essere vittime della loro stessa intransigenza, del loro stesso rigore.