"…La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere, la possibilità per ciascuno di avere una parte reale nelle decisioni…”
Alexander Dubcek

Italia. Speriamo che se la cavi

Non c’è giorno che non si rimetta in discussione la tenuta politica di questo singolare Paese. Non c’è un momento nella quotidianità giornalistica nel quale si allenti una volontà rivolta a difendere, accusare, giustificare o bandire scelte politiche o dichiarazioni assunte a proclami del momento. Il tutto, rivolto, e se ne comprende il motivo di fronte ad una crisi di legittimazione del potere cha va avanti da due anni, a creare consenso o, al contrario, ad arginare possibile cadute.

La costruzione del consenso è certamente una pratica decisiva nell’affermazione di una leadership o nel dover assicurare una certa legittimità nello scegliere una determinata azione, in politica economica quanto in politica estera. Tuttavia non credo che vi sia mai stata una coincidenza di eventi così ravvicinati e così importanti per l’Italia come quelli che viviamo ogni giorno attraverso i media. L’Italia di oggi non è capace di assumersi responsabilità dirette e, nel suo essere ondivaga, non è in grado di porre un’idea di interesse nazionale al centro di ogni azione politica che vuole condurre, soprattutto in politica estera.

Il disastro in Iraq, il nulla di fatto in Afghanistan, il ruolo residuale e di compiacenza alle scelte statunitensi verso il Nord Africa e il Medio Oriente, un europeismo meteoropatico che muta ogni giorno, dimostrano quanto questo Paese navighi a vista. Quanto, in realtà, ogni responsabile del governo insegua posizioni interlocutorie e non concrete quasi come se, soprattutto in ambito europeo e nella politica del Mediterraneo, ci fosse qualcuno che debba toglierci le castagne dal fuoco. Tutto questo perché all’Italia manca una cosa fondamentale: non ha la minima idea di quale sia il suo interesse nazionale. Non ha la minima idea di dove voglia collocarsi, di cosa vuol fare da grande se non nascondersi dietro parole, che sanno più di circostanza, come europeismo e atlantismo.

Non è che questa sia una novità. In fondo del dire e non dire, come del fare e non fare, ne abbiamo fatto un modello di sopravvivenza politica nella storia, ma il mondo di oggi non fa sconti all’ignavia. Dall’attentato terroristico del Cairo alla ancora non chiara politica statunitense nei confronti dell’Islamic State, alla rottura con la Russia di Putin sarebbe utile capire cosa l’Italia vuol fare per tutelare la propria sicurezza a Sud e la propria economia verso i mercati russi. Tutto questo dal momento che non solo non sembra esservi, nel primo caso, quella rinnovata e determinata strategia contro la minaccia terroristica dichiarata dal ministro degli esteri italiano, ma perché non si comprende come e in che termini l’Italia voglia salvaguardare i propri interessi economici, le proprie imprese e le proprie, poche, esportazioni. In questo gioco condotto in Europa dagli Stati Uniti secondo la strategia del tit for tat verso chi tenta di affrancarsi dagli interessi a stelle e strisce -della quale il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) ne sarà una concreta manifestazione- l’Italia sembra vagare nel suo sonnambulismo buonista sorvolando sulle sue emergenze interne e sulle sue debolezze internazionali.

Una ennesima prova di quanto il Paese stenta a contare realmente, mistificando assenze di idee con distribuzione di sorrisi, di soliti happening e slogan spesi in ogni utile occasione da parte di chi sostiene di rappresentarla. Tutto questo mentre nel frattempo si sta svendendo l’Italia ai migliori offerenti.

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