Mohammad Jafar Amir Mahallati. Ethics of War and Peace in Iran and Shi'i Islam. Toronto University Press, 2016 p. 336
Dopo secoli di lotte tra sciiti e sunniti culminate con la lunghissima guerra tra Iraq ed Iran negli anni Ottanta, e di fronte alla complessa realtà dell’Islam militante che si consuma all’interno di attori come l’Isis oggi o i Talebani di ieri, lo sciismo iraniano sembra volersi proporre come alter ego di un modello di relazioni politiche caratterizzato da aperture non solo verso i Paesi dell’Occidente, quanto dello stesso sunnismo. Una sorta di politica di prossimità che per l’Iran è il risultato di una rendita diplomatica dovuta ad una maggior fiducia nelle capacità di poter esprimere una politica estera più assertivamente concreta, soprattutto dopo essere riuscito a ottenere significativi successi diplomatici nel campo.
Dal far accettare il programma nucleare alla volontà di porsi come intermediario nella regione, l’Iran sciita ritiene di mantenere la sua ambizione di essere riconosciuto come attore protagonista nella regione, ma anche essere considerato un interlocutore imprescindibile per ogni tavolo al quale si approssimano sia le grandi potenze che gli Stati della penisola araba. In questo sforzo di riscrivere il ruolo di un Iran potenza regionale, lo sciismo politico di Teheran tenta di rimodellare la propria capacità di governo e di azione politica sottolineando l’attualità di una formula sincretica tra politica e religione, tra identità nazionale e identità di fede quali assiomi necessari per affermare una propria primacy, sia nel mondo mussulmano che nelle relazioni internazionali.
Certo, Mohammed Jafar Amir Mahallati ha ben presente lo sforzo teorico da sostenere nel dimostrare la possibilità di un Iran moderno. Però gli va riconosciuto il merito di portare ancora una volta all’attenzione della comunità scientifica la necessità di valutare analiticamente le scelte politiche delle leadership iraniana. Scelte, queste ultime, viste non solo da un punto di vista politico, ma complementarmente religioso. In questo, quasi a completare un percorso di idee già segnato da personalità iraniane come Abdulkarim Soroush che, introducendo il concetto di democrazia religiosa quale aspetto singolare della vita politica dell’Iran post-khomeinista, ritiene che la religiosità della comunità è la ragione stessa del perché la religione sia determinante nella vita politica di una società composta da persone che sono religiose.
Per Soroush, insomma, non esisterebbe un modello unico o dominante di democrazia, ma una democrazia che potremmo definire plurale nella misura in cui la cosiddetta democrazia religiosa è essa stessa un modello di democrazia che può convivere con proposte secolari di democrazia e con essi dialogare. Un percorso verso un riformismo modernista che in Iran ha visto autori come Mehdi Bazargan o Mohsen Kadivar provare a realizzare una sorta di scienza politica islamica che fosse adeguata alla dimensione dello sciismo, ma che si sono ben guardati dal cadere nella tentazione di trasformare lo sciismo stesso in una ideologia.
Mohammed Jafar Amir Mahallati, in ogni caso, non è nuovo a simili percorsi di approfondimento. Il volume si dirige verso l’Iran sciita grazie ad un itinerario di studi già sperimentato nella sua tesi di dottorato dal titolo Ethics of War in Muslim Cultures. A critical and comparative perspective del 2006. L’unica differenza è il salto di qualità dell’analisi che lascia il terreno delle categorie come guerra e pace nel loro stretto rapporto con la storia e la cultura dell’Islam per ricollocarle all’interno di un quadro evolutivo che pone al centro un’idea di Stato che vuole dimostrare di poter essere erede di una tradizione religiosa, quale l’Islam sciita, e promotrice di una formula politica che tende ad attribuire centralità alla fede pur lasciando spazio alla laicità dei processi.
Identità religiosa e identità nazionale sembrano, alla fine, essere i due ingredienti che non attribuiscono anacronismo all’esperienza politica iraniana ma, anzi, si pongono quali fattori di modernità in antitesi, se così si può dire, con l’esperienza della monarchia assoluta saudita e alla proposte del sedicente califfato o di altre tentazioni simili proposte dall’area sunnita.
Giuseppe Romeo