"…La democrazia non è solamente la possibilità ed il diritto di esprimere la propria opinione, ma è anche la garanzia che tale opinione venga presa in considerazione da parte del potere, la possibilità per ciascuno di avere una parte reale nelle decisioni…”
Alexander Dubcek

Siria. La tomba dell’Occidente (ovvero dell’Europa)

Siria. La tomba dell’Occidente
In momenti nei quali ogni condizione di ordine possibile e di gestione di crisi che sembrano più funzionali a definire nuovi rapporti di forza e nuove gerarchie, piuttosto che mettere al centro gli interessi dei popoli, l’operazione in Siria - pensando di alleggerire il fronte in Ucraina distraendo la Russia o per favorire Israele, che non vede trovare sostegno diffuso nel mondo occidentale - rappresenta il nuovo azzardo di una pericolosa partita di poker su un tavolo rosso sangue. Trasformare in ribelli se non partigiani gli eredi, i sopravvissuti e i nuovi interpreti di al-Qaida/al-Nusra, oggi Hayat Tahir al-Sham, è la nuova frontiera dei combattenti per la democrazia. Inneggiare o venire a patti con personaggi come Abu Muhammad al-Jawlani, definiti come terroristi proprio da quell’Occidente che oggi ne celebra le imprese sembra essere la nuova speranza delle cosiddette democrazie europee per un nuovo ordine in Medio Oriente.
 
Lo stesso vescovo di Aleppo nei giorni scorsi sembra aver buoni motivi per credere a quanto, a suo dire, gli estremisti post-Isis dicono di promettere. Sino a ieri la garanzia a non toccare i cristiani e anche gli ebrei, a prescindere dalla confessione di appartenenza, era il regime di un dittatore quale fu, indubbiamente, Assad e che in chiave anti-Isis ai cristiani sembrava un regime tutto sommato sostenibile. Probabilmente la memoria è corta e si continua a interpretare le dinamiche mediorientali secondo categorie occidentali. Anzi, a fare il tifo per tali estremisti visti in chiave anti-russa. Al vescovo di Aleppo, però, sfugge il ruolo fondamentale che gioca il concetto di taqiyya (sedicesima sura (dell'ape), versetto 106, ma dipende dalle versioni/edizioni) per la quale il ricorso alla dissimulazione nei confronti dell'infedele è lecito al punto tale che è ammesso anche rinnegare la propria fede (solo nei confronti dell'infedele se si è in condizioni di inferiorità o di pericolo estremo) ma senza farlo intimamente purché ciò sia funzionale a raggiungere uno scopo lecito per il Corano. Ciò significa che se "mentire" al miscredente è lecito, si può immaginare nelle relazioni che mettono in gioco valori inferiori della difesa della propria fede.
 
Tuttavia, è anche sin troppo chiaro come l’aver alimentato un fuoco sotto-cenere, mai estinto per usarlo all’occorrenza da parte di intelligence lungimiranti, ha dimostrato come e in che misura non vi siano scrupoli di sorta nel ricorrere a ogni possibile mezzo per raggiungere - in tempi, modi e termini non di certo archiviabili per memorie libere - obiettivi geopolitici anche da parte di consolidate democrazie al di là di ogni retorica da mondo libero.
 
Un passaggio sul quale forse anche l’autore d "La nuova guerra contro le democrazie. Come le autocrazie vogliono stravolgere l’ordine internazionale" avrebbe dovuto riflettere prima di dare questo titolo anche solo per una questione di verità storiche su come e in che modo le democrazie a lui più care hanno sostenuto autocrati e dittatori poi, magari, disarcionati se non più utili. Magari ricordando come e con quali risultati si siano sostenuti autoritarismi funzionali agli USA (tra i tanti, lo stesso Saddam Hussein fu finanziato dagli USA in chiave anti Iran, per non parlare del favore reso prima e anche dopo ai talebani, veri campioni di democrazia) e alle multinazionali occidentali. Così, oggi alla Libia delle primavere democratiche che non esiste più e all'Afghanistan, dopo venti anni di missione occidentale senza risultati e restituito ai talebani, si aggiunge la Siria.
 
Di fronte a tali disastri, se l'UE crede di poter assumere credibilità in MO dopo averla persa nel continente ciò rappresenta una illusione. E spiace per gli alleati atlantici di Ankara, che la crisi siriana, di cui non si ha difficoltà nel ritenere parte di un disegno ben preciso inteso ad allargare il quadro della conflittualità - funzionale a contenere una debole capacità diplomatica degli Stati Uniti e propri partner, oltre che strumentale a far recuperare terreno e consenso a Israele - oggi, sembra avere un solo vincitore: Erdogan. Il leader turco, nell'interpretare al meglio le qualità "levantine" sarà, infatti, l'unico a fare la differenza in Medio Oriente mentre gli emiri, creato e sostenuto il caos, continueranno a regnare indisturbati visto che la loro democraticità per l'Occidente non è mai in discussione.
 
Se la strategia statunitense è quella, al netto della crisi in Ucraina, di distribuire le crisi in regioni ancora fondamentali per la tenuta della credibilità degli USA come grande potenza, di certo ciò che si creerà nei prossimi mesi è un alone di sofferenza che distribuirà paure e incertezze. Questo, in una regione che pur se vedrà anche indebolite formazioni come Hamas e Hezbollah dovrà confrontarsi con il problema di chi li sostituirà e a quali costi umani. Ciò, in un clima nel quale il regime-change in fondo non lo vuole nessuno, tanto meno gli Stati Uniti per i quali, in un’ottica di dominio, di sicuro il caos delle periferie dell’impero rappresenta un buon risultato per impedire la nascita di nuove proposte di governance con buona pace di ciò che resta dell’utopia wilsoniana dell’autodeterminazione dei popoli.
 
Probabilmente Israele ritiene che la fine della Siria degli Assad segni la fine del regime iraniano degli ayatollah e della costellazione sciita e che ciò permetterà di rendere lecita quell’occupazione di Territori che ben altro diritto avrebbero dovuto vedersi riconoscere, dal Golan, a Gaza alla Cisgiordania ammettendo, se così dovesse essere, che vi è un diritto internazionale che per alcuni non è che semplice carta monouso. Ma Tel Aviv dovrebbe ricordare, che il sunnismo di Hamas, tollerato in chiave anti-Olp, non pare aver dato prova di riconoscenza. Ecco perché, dalla frammentazione della Siria Tel Aviv dovrà fare i conti con un sunnismo radicale che non sembra aver favorito Israele nel tempo, mentre Erdogan si giocherà la partita della vita del nuovo sultanato possibile, regolando i conti con i curdi ancorando la sicurezza di Ankara nelle prossimità siriane.
 
Insomma, un buon Risiko natalizio per quell’Occidente europeo ormai sempre più protettorato degli Stati Uniti. Questi ultimi che, in preda ad un delirio compulsivo da decadenza, si presentano consapevoli di poter fare ciò che vogliono di fronte a una Europa in mano alla più inadeguata e supponente leadership, delusione degli stessi padri del 1957, facendo rimpiangere, se non dare ragione, a un preveggente De Gaulle (Memorie della speranza pag. 183 e ss.) e al nostro Craxi. Un doppio standard europeo, come se non bastasse l’ingerenza nelle questioni politiche romene, che si affida adesso a Macron, prodotto della visione di una Francia orfana da decenni di un Charles nazionale. Un presidente che, privo di strumenti storici e politici di analisi, di fatto nelle sue dichiarazioni trasforma in patrioti dei terroristi che di certo non saranno meglio del dittatore Assad. Una miopia e una narrazione così manifestamente fuorviante, supportata dalla stampa più conformista, che l’Europa, non certo la felice homeland a stelle e strisce, rischia di pagarne il prezzo rendendo la Siria - una nazione, nel peggio di Assad, comunque laica e ad alto livello di istruzione - un nuovo proxy del terrore.
 
Il vero problema, alla fine, sarà il pay off dovuto al vuoto di potere costruito senza un processo di crescita in territori oggetto di rivendicazioni, di interessi e di leadership che condizionano e condizioneranno le scelte politiche ed economiche senza porsi lo scrupolo di affidarsi a pericolose derive religiose. L'Italia si approssima a tale crisi cercando sponde nel dovunque atlantico, da Trump all’Eliseo probabilmente dimenticando il precedente libico illudendosi, l’Italia, di avere amici disinteressati nel Mediterraneo prossimo. In verità, basterebbe frequentare solo le stazioni, i treni o interi quartieri delle nostre città per rendersi conto di quale piattaforma potenziale sia il nostro Paese per una pericolosa contaminazione terroristica.
 
De Gaulle era un gigante di previsione e Craxi altrettanto. Oggi sembra, infatti, che i leader del momento siano troppo impegnati a seguire i contenuti di autorevoli Agende mai archiviate, anzi passate in consegna come se in esse ci fossero i compiti da fare per garantirsi una sopravvivenza politica. A questo punto, a condizioni geopolitiche date e incontrovertibili, sembra evidente più di quanto non lo fosse ieri per pudicizia, che la longevità degli stessi esecutivi europei, come le politiche estere degli Stati e i destini di ogni cittadino del Vecchio continente - a eccezione di qualche Stato che sottrae al dominus d’oltreatlantico la propria dignità - siano decisi a Washington e nelle sue succursali: Bruxelles e Strasburgo e altre capitali non così lontane. Insomma, la Siria rischierà di essere la tomba di quell’Europa che doveva contare nel mondo.
 
Gli Stati Uniti, come ricordava De Gaulle, fatti i conti in casa, e cioè conquistati gli asset petroliferi siriani nel tentativo di completare il domino energetico con l’Iran, sono abbastanza lontani e potranno sempre decidere quando e come abbandonarci, o a quale prezzo farci pagare la loro generosità, mentre Tel Aviv crederà di poter capitalizzare conquiste mai restituite e promesse mai mantenute.

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