Politica senza politica
È certo che il caos politico di questi ultimi decenni, l’incerto volgersi delle decisioni e l’altalenante pantomima delle politiche di partito hanno contraddistinto la minor qualità di una classe politica inadeguata a gestire il presente perché poco conscia del passato e priva di una visione del futuro. In questo è utile richiamare il pensiero di Weber manifestato all’indomani dell’affermarsi come grande potenza della Germania unita e che assumeva a tesi l’incapacità dei politici di professione e privi di una vocazione il maggior pericolo che potesse presentarsi all’orizzonte tedesco: “[…] Non abbiamo davanti a noi la fioritura dell’estate, bensì per prima cosa una notte polare di fredde tenebre e di stenti, qualunque sia il gruppo a cui tocchi ora la vittoria da un punto di vista esteriore. Giacché dove è il nulla, ivi non solo l’imperatore ma anche il proletariato ha perduto i suoi diritti. Quando questa notte andrà lentamente dileguandosi, chi sarà ancora vivo di coloro la cui primavera ha avuto apparentemente una fioritura così rigogliosa? E che ne sarà divenuto, interiormente, di tutti loro? Amarezza e avvilimento, oppure un’ottusa accettazione del mondo … o fuga mistica dal mondo. In ognuno di questi casi […] costoro non erano maturi per la loro azione, né per il mondo quale è realmente né per la sua realtà quotidiana […]”. Certo si potrebbe anche aprire uno spiraglio affermando che la realtà politica italiana sia, in fondo, il risultato di una transizione non risoltasi ancora oggi dalla fine del modello democristiano, ma ciò non potrebbe far assumere nemmeno al compromesso l’esser metodo dell’agire politico nell’unico senso nobile del termine. Un conflitto di interessi sorge allorquando un sistema sociale implichi una divergenza di fini allora solo in questo caso il compromesso può rappresentare un tentativo utile per porre rimedio a questa differenza, in modo tale che nella società la soddisfazione sia la più diffusa possibile. In quest’ottica, e solo in questa, le soluzioni politiche prive di compromesso rappresentano un fallimento dell’ideale della politica. È evidente che il compromesso in Italia si è posto su presupposti diversi. Ovvero finalizzando la convergenza anche al di fuori delle schermaglie di partito se ad essere compromessi erano gli interessi dei pochi. La realtà è che il modello politico italiano, con i personalismi dell’ultima ora, si è scontrato con l’unico aspetto particolare che lo caratterizza veramente nella sua debolezza: l’essere il risultato di un compromesso fra interessi d’élites e partitocrazia rivisitata. L’essere, cioè, il prodotto di un’incerta dimensione neocentrista dotata di una trasversale capacità di far confusione ma non di una reale, e responsabile, capacità di creare sintesi di programma e di scelte. Una miscela all’interno delle anime dei due poli fra coerenza e contraddizioni ideologiche che non sono supportate, oggi, dalla magmatica ottica democristiana di ieri. Per questo, fra federalismi di pochi, sterili antifascismi di ieri e politiche sociali di destra e di sinistra privatizzatesi nella leadership del singolo, il confronto fra alleati diventa così dominante in una dimensione frammentata del quadro politico complessivo al punto tale da emarginare parti dell’elettorato di entrambi gli schieramenti che certamente credono nella politica quale strumento per la crescita sociale dello Stato, e quindi anche economica.