L’apertura della campagna elettorale per le prossime regionali si presenta -per essere stata preceduta da una caotica definizione dei candidati e delle liste- come epilogo della tradizionale corsa al palcoscenico politico nel tentativo per alcuni di mantenere inalterata la propria percezione di dominus essenziali, per altri, i più, rincorrere una posizione adeguata di condizione sociale garantita.
In questa corsa alla Presidenza della regione Calabria credo, francamente, che non vi siano aspetti tali da rincuorarci circa l’affermazione di una possibile coalizione che si possa definire alternativa a qualsiasi forma di governo precedente. E, tanto, dal momento che -o che si tratti di proposte tradizionalmente legate alla politica del passato o di proposte di novità simboliche, nei modi e nelle menti- non sembrano esserci i presupposti per garantire l’affermazione di un nuovo corso innovativo. Tutto questo dal momento che, dato il panorama delle proposte, tre sono le considerazioni da fare.
La prima è che si ripresenta come nuovo uno schieramento uscente che dovrebbe traghettare la Calabria verso un’epoca di riscatto cercando di disegnare un nuovo profilo della nostra regione superando quanto, potendo, non è stato fatto in passato sui temi ricorrenti: trasporti, turismo, economia produttiva e sistemi allargati di mercato, sanità, formazione.
La seconda è che vi è una proposta cosiddetta alternativa che ridefinisce un modo di fare politica ben ancorato al passato, che affida il proprio successo possibile ad una campagna elettorale costruita prevalentemente sulla semplice contrapposizione personale verso la coalizione a termine, evitando di indicare programmi, obiettivi e risultati che si intenderanno perseguire, come e con quali risorse sopratutto.
La terza proposta si presenta come una sorta di via di mezzo populista e giustizialista. Una proposta dove il senso della legalità diventa un simbolo ognitempo, una proposta nuova ammantata di difesa di un valore del quale si ritiene di avere l’esclusiva ma che rischia di trasformarsi paradossalmente in un nuovo alibi. Una giustificazione utile per ogni insuccesso possibile e tale da ingessare ancora una volta ogni iniziativa, ammesso che se ne abbiano le idee su come intraprenderla e sul come portarla a termine. In tutto questo, e a fattor comune, tutti credono di avere le soluzioni per la rinascita della Calabria a portata di mano, anche se non mi sembra che queste siano state dichiarate. Ma la verità è data dalla storia delle persone e dei fatti.
La rinascita della Calabria riguarda le persone e i fatti in effetti. La rinascita della Calabria è un fatto politico, è vero, ma è anche un fatto economico e, per entrambi, è un fatto culturale. Politicamente la rinascita della Calabria avrebbe dovuto iniziare con una riforma della cultura del fare politica. Una riforma che non si fermasse ad un patto etico aleatorio di cui si dileggia nelle liste, ma che sopravanzasse il rigido schema dei partiti che sono sempre di più comitati organizzati ad personam per aprirsi veramente alla società civile.
La rinascita della Calabria non è solo l’antimafia ognitempo e valida per ogni stagione. E’ la risposta culturale, civile e politica ad una capacità di non farsi intimidire, di non essere strumento di una realtà che si è sovrapposta per molti anni alla storia di una regione che non può nascondere ancora i propri fallimenti sulla paura dello spettro dell’orda criminale che la piega.
La rinascita della Calabria non ha bisogno di paladini con la lancia in resta che cavalcano verso la conquista di un sentimento di capacità amministrativa soltanto perché convinti dalle proprie, personali, esperienze.
Paladini che non sembra siano stati, potendolo essere, artefici di network o progetti di rete nell’impresa per aumentare le possibilità di mercato, trasformare l’economia della regione in un’economia produttivamente inserita in una dimensione di mercato allargata e sinergica nelle scelte e nelle decisioni di investimento. In questo c’è tutto quello che si poteva già fare in passato, che doveva essere già stato fatto dalle stesse figure politiche che oggi ritornano sulla scena a chiedere consenso, a cercare l’avallo ad una esperienza politica che continua tra una carica pubblica e un’altra, in questa come nelle passate legislature regionali, di maggioranza o di minoranza che fossero. Turismo, trasporti, sanità, offerta formativa, produttività, giovani, legalità, ambiente non sono argomenti di oggi …sono gli argomenti di sempre.
Ebbene perché oggi dovremmo aspettarci una novità per il futuro? E da chi? Forse perché come detto in passato da un’autorevole autorità” …Con i dodici miliardi di euro in arrivo dall'Europa, nei prossimi cinque anni possiamo cambiare faccia alla Calabria…”?. E con quelli già arrivati negli anni precedenti cosa è stato fatto, non in termini di parole ma di fatti e di opere evidenti, misurabili?
Forse si sarebbe dovuto cambiare volto alla regione in termini di proposte, di idee, di voglia e modo di fare politica per la politica, per il cittadino e non per se stessi. La difficoltà di superare questa sorta di affermazione ad ogni costo di un io che non retrocede mai è, oggi, l’unica certezza che ci resta. La certezza di un immobilismo che si cela nell’assenza del coraggio nel rinunciare ad un comodo status quo. La certezza di essere consapevoli per chi gode di comode posizioni romane, che nulla vale di più che il mantenere sin tanto che sarà possibile, al di là delle parole, il proprio ruolo e garantirsi magari la rieleggibilità mantenendo la politica regionale così come è.
Il vero futuro che manca è la restituzione al cittadino della libertà di fare politica al di fuori degli schemi e da ogni ricatto del bisogno. Quel ricatto che tiene ostaggio le menti e le idee tanto quanto la criminalità fa con i significati di legalità e di libertà civile che ognuno di noi vorrebbe difesi senza ipocrisie per crescere, in Calabria, al pari del resto d’Europa.
La prima è che si ripresenta come nuovo uno schieramento uscente che dovrebbe traghettare la Calabria verso un’epoca di riscatto cercando di disegnare un nuovo profilo della nostra regione superando quanto, potendo, non è stato fatto in passato sui temi ricorrenti: trasporti, turismo, economia produttiva e sistemi allargati di mercato, sanità, formazione.
La seconda è che vi è una proposta cosiddetta alternativa che ridefinisce un modo di fare politica ben ancorato al passato, che affida il proprio successo possibile ad una campagna elettorale costruita prevalentemente sulla semplice contrapposizione personale verso la coalizione a termine, evitando di indicare programmi, obiettivi e risultati che si intenderanno perseguire, come e con quali risorse sopratutto.
La terza proposta si presenta come una sorta di via di mezzo populista e giustizialista. Una proposta dove il senso della legalità diventa un simbolo ognitempo, una proposta nuova ammantata di difesa di un valore del quale si ritiene di avere l’esclusiva ma che rischia di trasformarsi paradossalmente in un nuovo alibi. Una giustificazione utile per ogni insuccesso possibile e tale da ingessare ancora una volta ogni iniziativa, ammesso che se ne abbiano le idee su come intraprenderla e sul come portarla a termine. In tutto questo, e a fattor comune, tutti credono di avere le soluzioni per la rinascita della Calabria a portata di mano, anche se non mi sembra che queste siano state dichiarate. Ma la verità è data dalla storia delle persone e dei fatti.
La rinascita della Calabria riguarda le persone e i fatti in effetti. La rinascita della Calabria è un fatto politico, è vero, ma è anche un fatto economico e, per entrambi, è un fatto culturale. Politicamente la rinascita della Calabria avrebbe dovuto iniziare con una riforma della cultura del fare politica. Una riforma che non si fermasse ad un patto etico aleatorio di cui si dileggia nelle liste, ma che sopravanzasse il rigido schema dei partiti che sono sempre di più comitati organizzati ad personam per aprirsi veramente alla società civile.
La rinascita della Calabria non è solo l’antimafia ognitempo e valida per ogni stagione. E’ la risposta culturale, civile e politica ad una capacità di non farsi intimidire, di non essere strumento di una realtà che si è sovrapposta per molti anni alla storia di una regione che non può nascondere ancora i propri fallimenti sulla paura dello spettro dell’orda criminale che la piega.
La rinascita della Calabria non ha bisogno di paladini con la lancia in resta che cavalcano verso la conquista di un sentimento di capacità amministrativa soltanto perché convinti dalle proprie, personali, esperienze.
Paladini che non sembra siano stati, potendolo essere, artefici di network o progetti di rete nell’impresa per aumentare le possibilità di mercato, trasformare l’economia della regione in un’economia produttivamente inserita in una dimensione di mercato allargata e sinergica nelle scelte e nelle decisioni di investimento. In questo c’è tutto quello che si poteva già fare in passato, che doveva essere già stato fatto dalle stesse figure politiche che oggi ritornano sulla scena a chiedere consenso, a cercare l’avallo ad una esperienza politica che continua tra una carica pubblica e un’altra, in questa come nelle passate legislature regionali, di maggioranza o di minoranza che fossero. Turismo, trasporti, sanità, offerta formativa, produttività, giovani, legalità, ambiente non sono argomenti di oggi …sono gli argomenti di sempre.
Ebbene perché oggi dovremmo aspettarci una novità per il futuro? E da chi? Forse perché come detto in passato da un’autorevole autorità” …Con i dodici miliardi di euro in arrivo dall'Europa, nei prossimi cinque anni possiamo cambiare faccia alla Calabria…”?. E con quelli già arrivati negli anni precedenti cosa è stato fatto, non in termini di parole ma di fatti e di opere evidenti, misurabili?
Forse si sarebbe dovuto cambiare volto alla regione in termini di proposte, di idee, di voglia e modo di fare politica per la politica, per il cittadino e non per se stessi. La difficoltà di superare questa sorta di affermazione ad ogni costo di un io che non retrocede mai è, oggi, l’unica certezza che ci resta. La certezza di un immobilismo che si cela nell’assenza del coraggio nel rinunciare ad un comodo status quo. La certezza di essere consapevoli per chi gode di comode posizioni romane, che nulla vale di più che il mantenere sin tanto che sarà possibile, al di là delle parole, il proprio ruolo e garantirsi magari la rieleggibilità mantenendo la politica regionale così come è.
Il vero futuro che manca è la restituzione al cittadino della libertà di fare politica al di fuori degli schemi e da ogni ricatto del bisogno. Quel ricatto che tiene ostaggio le menti e le idee tanto quanto la criminalità fa con i significati di legalità e di libertà civile che ognuno di noi vorrebbe difesi senza ipocrisie per crescere, in Calabria, al pari del resto d’Europa.