Tutti noi guardiamo agli Stati Uniti come ad un laboratorio nel quale si sperimentano molte cose. Dalle novità culturali e di tendenza, quasi spesso sintesi di esperienze maturate nell’altrove globalizzato, risultato di una nuova interpretazione dei rapporti sociali e di costume che superano anche le tradizioni per accreditare nuovi valori o nuove prospettive. Ma non solo.
La comunità a stelle e strisce è anche uno dei più vivaci esempi di costruzione di un’identità multietnica e multiculturale, anche se ogni diversità va poi ricondotta ad una visione unitaria delle ragioni di uno Stato. Ora, senza impegnarci in analisi dei massimi sistemi, vediamo cosa ci può accomunare a questa grande avventura storica che sono gli Stati Uniti. Direi, tra tante altre genuinità, l’ormai spasmodica ricerca di un leader. Democrazia o meno, infatti, avere un leader sembra rappresentare una necessità esistenziale. Essa sembra esprimere un bisogno di veder soddisfatta un’idea di governance attraverso una sintesi delle intenzioni che affida ad un capo le sorti di una comunità che, comodamente e attraverso il voto, ritiene di dover retrocedere dal suo impegno diretto. Si potrebbe dire che si tratti di un ottimo esempio di democrazia indiretta.
Ma in una visione moderna, favorita da processi di conoscenza e di partecipazione diffusa, probabilmente ad essa si dovrebbe associare una sorta di democrazia orizzontale, equipartecipativa e non più esclusivamente verticale, ovvero gerarchico-funzionale alle ambizioni altrui. Ora, in un mondo che si manifesta secondo strumenti di progressiva contaminazione delle anime e degli esseri, diventa difficile non tentare di emulare leader e capipopolo di vario genere. Probabilmente ciò soddisfa una sorta di paura dell’incerto e fa si che si deleghi il nostro futuro a chi è sicuro di se stesso, delle sue capacità e delle sue ambizioni soprattutto.
Una realtà che non è poi così lontana dalle nostre percezioni. Se guardassimo con occhi più attenti al nostro quotidiano probabilmente potremmo riconoscere, nel limite delle nostre esperienze, alcuni comportamenti che esprimono in modo efficace questa volontà di nuovi politici di essere copia, in erba, di leader maximi. Piccoli leader che dichiarano di assumere su di se valori etico-morali superiori quasi si trattasse di uomini voluti, se non inviati, da una Divina Provvidenza che dovrebbe far arrossire ogni fedele.
Una missione per conto non si sa di chi e per che cosa che viene sistematicamente promossa o… meglio, autopromossa celebrando se stessi attraverso l’universo social rendendo mistico ogni selfie, quasi si trattasse di uno strumento più sbrigativo per immortalare nuove icone della politica non solo nazionale ma, disarmantemente, locale. Ciò rende forse più vicini coloro che si esercitano al grande gioco dell’immagine ai grandi della storia, o del teatro, magari utilizzando palcoscenici più modesti.
Tuttavia l’imitazione non sempre può dare buoni frutti. D’altra parte, la persistenza di un senso di convincimento che va oltre la regola, di un ego che si distacca del senso comune del buon senso, ricolloca l’individualismo al di sopra di ogni intenzione di servizio. L’umiltà dei limiti e la mitezza dei termini, oltre la concretezza dei fatti, sembrano non essere più l’unica vera strada che distingue le comparse dai veri protagonisti della storia, grande o piccola che sia; degli Stati Uniti come di qualche, lontano lontano, comune del nostro Sud. E ciò è più che sufficiente e ci permette di comprendere l’ostentazione quotidiana di una politica personale che non va oltre la santificazione rituale, e giornaliera, di un post collocato in ogni angolo dell’universo.