Siamo pronti! La scommessa politica su un’Unione possibile tra gli Stati membri di ciò che era la Comunità Europea è iniziata. È sempre più vicina e le previsioni diventano il nuovo argomento che affascinerà o preoccuperà l’opinione pubblica nei prossimi giorni, nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Certo, l’avvento di una nuova moneta di per sé non è un evento facile da considerare o da accettare culture nazionali caratterizzate da abitudini, tradizioni, modelli, sistemi economici consolidati. Ma non lo è soprattutto nel momento in cui l’avvento dell’euro si manifesta con l’intenzione, forse pretenziosa, di essere uno strumento di integrazione che supera la definizione politica monetizzando un’idea, un progetto, una sensibilità, una cultura di vita a cui ricondurre la storia di un continente non sempre così unito ed integrato.
Ogni processo di unificazione territoriale nasce da un confronto politico, dal superamento di conflittualità, da conquiste o da scelte che, comunque, hanno origine in un’idea, o da un’identità, da una volontà di potere o di dominio. Non nascono solo da un processo economico di integrazione. Certo, la Germania nella metà dell’Ottocento trovò nell’unità doganale dello Zollverein una premessa, ma la lingua era unica, la cultura altrettanto e la moneta pure. L’unità d’Italia nasce da un’idea politica. La moneta unica venne dopo, molto dopo il 1861 e con essa la Banca d’Italia. Ridefinire un’idea in una moneta può rappresentare una valida prova di sintesi concettuale materialisticamente valutabile.
Ma politicamente che significato ha? Cosa significa avere un’unica moneta in un sistema istituzionale dove la Commissione, istituzione tecnocratica e non democratica, non rappresenta un governo europeo ma gli interessi dei singoli esecutivi, al di là dell’indipendenza da trattato, di cui è espressione fisiologica per nomina governativa dei suoi membri?
Quale espressione di una democratica armonizzazione delle politiche economiche e sociali dei singoli membri potrà garantire una valutazione del “peso” dell’euro nell’ambito di scelte non democratiche devolute ad organizzazioni dell’Unione che, comunque, non sono espressione di una sovranità popolare liberamente e democraticamente manifestata se non limitatamente ad un’Assemblea parlamentare ancor oggi non esercitante un pieno potere legislativo dal momento che codecide con il Consiglio? Ovvero, quale peso, o credibilità, potrà avere una moneta che in sé non è espressione di una sovranità democratica ma semplice risultato di una scelta di governi, affidata ad istituzioni che prescindono da un consenso popolare?
Quale controllo attribuito ad un organo popolare concretamente rappresentativo potrà essere esercitato in un’architettura istituzionale che non ha un potere legislativo concretamente espressione del pensiero del cittadino europeo?
Quale futuro potrà garantire una monetarizzazione di sistemi sociali ancora profondamente disomogenei con capacità e possibilità diverse di accesso ai servizi per ogni Stato membro? Come dare un uniforme valore sociale ad una moneta che rappresenta tutti e nessuno nel suo non esser ancora espressione di un’unità politica, legislativa e costituzionale? Come superare l’euroscetticismo e l’euroincertezza che assale il buon senso della casalinga abituata a dare un significato quotidiano e finanziariamente semplice alla misura della ricchezza e delle opportunità di spesa che essa offre?
Come superare l’euro-diffidenza di chi non capisce ancora oggi quale sarà il potere d’acquisto - come sarà determinato e da chi - di una moneta unica se espresso solo attraverso le percentuali di valutazione del Prodotto Interno Lordo ma diverso, profondamente diverso, nel concreto se si guarda alle capacità economiche di spesa di ogni singolo consumatore per ogni Stato membro, per ogni singolo portafogli? È su questi interrogativi che si giocherà il futuro dell’Unione.